Mount Olympus. Cosa viene dopo la tragedia?

Jan Fabre con “Mount Olympus” sembra dire che sappiamo ben poco sulla tragedia greca. Le questioni della tragedia, del teatro, della politica e di tutto ciò viene confusamente detto “etico” sono accomunate dal fatto di condurre tutte verso un luogo deserto, un luogo che che Jean-Luc Nacy chiama “religione civile”, che diventato impossibile occupare. E forse ciò che c’è in gioco in “Mount Olympus” è proprio cercare di sperimentare l’essenza di questo inconoscibile e di questo inimmaginabile. Proprio per questo “Mount Olympus” non può essere un’attualizzazione della tragedia greca, ma un laboratorio in cui Fabre indaga l’irrappresentabilità di ciò che ci lacera e ci purifica, ancora oggi.

Il non-Edipo.

“Oggi il più grande poeta francese vivente è un romeno. […] Ghérasim Luca è un grande poeta fra i più grandi: ha inventato un balbettamento prodigioso, il suo. Gli è capitato di fare delle letture pubbliche dei suoi poemi: duecento persone, e tuttavia bisogna considerarlo un evento, è un evento che passerà attraverso questi duecento senza far parte di nessuna scuola o movimento. Le cose non capitano mai là dove ci si aspetta, né attraverso i percorsi previsti”.

Gilles Deleuze