Mount Olympus. Cosa viene dopo la tragedia?

Jan Fabre con “Mount Olympus” sembra dire che sappiamo ben poco sulla tragedia greca. Le questioni della tragedia, del teatro, della politica e di tutto ciò viene confusamente detto “etico” sono accomunate dal fatto di condurre tutte verso un luogo deserto, un luogo che che Jean-Luc Nacy chiama “religione civile”, che diventato impossibile occupare. E forse ciò che c’è in gioco in “Mount Olympus” è proprio cercare di sperimentare l’essenza di questo inconoscibile e di questo inimmaginabile. Proprio per questo “Mount Olympus” non può essere un’attualizzazione della tragedia greca, ma un laboratorio in cui Fabre indaga l’irrappresentabilità di ciò che ci lacera e ci purifica, ancora oggi.

Emancipazione/i.

Senza la speranza non vi è quindi società, poiché nessuna società è in grado di fare i conti solo con ciò che esiste; dire che si amministrerà un po’ meglio ciò che esiste non è una speranza abbastanza forte. E se poniamo un discorso in cui la sinistra è vista come un’organizzazione di qualcosa che la destra fa comunque – senza contribuire alla dimensione di un nuovo immaginario sociale -, allora ciò che si otterrà sarà la proliferazione di discorsi di destra.