Oggi, nuove circostanze stanno creando opportunità senza precedenti per rendere le città straordinarie piattaforme di condivisione. Cittadini e progettisti spinti dalla necessità economica e dalle potenzialità del digitale, stanno sperimentando nuovi e resilienti modelli progettuali per fornire cibo, lavoro, sicurezza, merci e mezzi di trasporto. Nuovi modelli che corrispondono all’invenzione di pratiche quali: car pooling, ridesharing, crowdfounding, community farms, shared housing, shared workspaces. Una moltitudine microimprese diffuse sul territorio senza intermediari aziendali uniscono reti digitali e reti territoriali collegando offerta e domanda con un limitato livello di intermediazione.
Le istituzioni possono essere tagliate fuori da questi processi o assumere il ruolo di facilitatori, promuovendo la progettazione di infrastrutture, servizi, dando incentivi, e soprattutto attraverso la semplificazione o la definizione di nuovi strumenti legislativi.
In tempi di profonda crisi del nostro modello di lavoro basato sul capitalismo famigliare, mettere al centro le città per favorire la crescita progetti di economia condivisa, può diventare fondamentale per accrescere la prosperità e la capacità di recupero del paese.
Ma quella che viene definita Sharing Economy non sempre è una reale alternativa allo sfruttamento capitalistico. Anzi spesso ne rappresenta l’ultima frontiera. Ho raccolto alcune riflessioni in un breve libro intitolato: “Possiamo considerare la Sharing Economy una reale alternativa allo sfruttamento capitalistico“, che spero possa dare un contributo al dibattito italiano e allo stimolo di una possibile progettualità condivisa.
Questo piccolo libro è l’inizio di una ricerca che ha come obiettivo indagare come la collaborazione tra cittadini possa rappresentare un importante argine alla disuguaglianza sociale. Un percorso nel quale inviterò a parlare 100 persone che stimo – nella scrittura, nel pensiero, nella progettazione e nella politica -, sulle responsabilità etiche e politiche che possiamo condividere al fine di sperimentare progetti comunitari di generosità radicale che sappiano prendersi cura delle persone più fragili e marginalizzate.
“Je suis mort parce que je n’ai pas le désir,
Je n’ai pas le désir parce que je crois posséder,
Je crois posséder parce que je n’essaye pas de donner ;
Essayant de donner, on voit qu’on n’a rien,
Voyant qu’on n’a rien, on essaye de se donner,
Essayant de se donner, on voit qu’on n’est rien,
Voyant qu’on est rien, on désire devenir,
Désirant devenir, on vit”.René Daumal

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