“Quali strategie di sopravvivenza adotta una donna senza dimora?
Come trova cibo per sfamarsi?
Quali compromessi accetta per ottenere un riparo temporaneo?
Dove e come ha trovato i vestiti di cui aveva bisogno?
Come gestisce la propria igiene personale e quella dei suoi abiti?
Come trascorre le ore delle sue giornate?
Quali beni personali ha portato con sé quando è diventata senzatetto?
Come percepisce le strutture e i servizi con cui è entrata in contatto?
Quali opinioni matura su se stessa e sulle altre donne senza dimora?
Quali erano le sue speranze, le sue paure e i suoi sogni?
Quali atteggiamenti ha conservato dalla sua vita precedente e quali ha cambiato?”
“Silent Sisters: An Ethnography of Homeless Women”, Taylor & Francis di Betty G. Russell.
“Silent Sisters: An Ethnography of Homeless Women”, Taylor & Francis di Betty G. Russell è una delle poche opere che esplora la realtà spesso invisibile delle donne senza fissa dimora. Attraverso un approccio etnografico basato su interviste, una partecipazione osservante (si è finta una senzatetto condividendo tempi e luoghi con le persone osservate) e racconti diretti, la Russell offre un resoconto intimo e dettagliato delle vite di alcune donne homeless di Baltimora, dando voce alla loro invisibilità sociale.
Scrive la Russell:
“Attraverso un approccio che ha permesso alle donne di parlare attraverso la mia voce, spero che non saranno più silenziose e che tutti noi possiamo avere una comprensione più chiara di cosa significhi per le donne essere senza casa”.
Una doppia stigmatizzazione.
Un elemento centrale del libro della Russell è l’analisi della doppia stigmatizzazione subita dalle donne senzatetto. L’autrice evidenzia come la loro condizione sia aggravata non solo dal fatto di essere senza dimora, ma anche dai pregiudizi di genere. Essere senzatetto per una donna implica una vulnerabilità amplificata: significa, innanzitutto, essere sottoposte agli stereotipi e alle aspettative di genere imposti da una società patriarcale. Vengono spesso percepite come “fallite” nei loro ruoli tradizionali di madri, mogli o custodi della famiglia. Una stigmatizzazione sociale che non riguarda solo la loro condizione attuale, ma ciò che la società ritiene che avrebbero dovuto essere o rappresentare. In secondo luogo le donne senza fissa dimora hanno un’esposizione amplificata alla violenza e allo sfruttamento. Oltre alla vulnerabilità condivisa con gli uomini senzatetto, come la precarietà abitativa e l’accesso limitato a risorse di base, le donne homeless sono sottoposte in modo sproporzionato a violenza fisica, sessuale e psicologica. Questa vulnerabilità deriva dalla combinazione di un ambiente insicuro (la strada o i rifugi sovraffollati) e dall’essere percepite come facili bersagli per il loro isolamento prodotto da uno stigma sociale. Nella mia esperienza di volontariato ho ascoltato decine di racconto in cui la sopravvivenza in strada porta a situazioni di sfruttamento, sesso come forma di baratto per cibo, riparo, protezione o denaro, aumentando enormemente il rischio di traumi e dipendenze.
Questi due aspetti creano un circolo vizioso che amplifica l’emarginazione delle donne senza dimora, rendendo ancora più difficile il loro accesso a percorsi di supporto e reintegrazione.
Betty G. Russell, per rendere chiaro cosa significhi stigma sociale scrive:
“Usando lo stereotipo dei senzatetto, tuttavia, possiamo distogliere il nostro sguardo offrendo soluzioni semplicistiche come ha fatto uno scrittore di una lettera a “The Baltimore Sun”. Il suo pensiero può essere riassunto come segue:
– le donne senzatetto hanno posti di lavoro disponibili negli annunci, ma semplicemente non fanno domanda per un lavoro;
– tutti i senzatetto hanno abbandonato la scuola;
– le donne senzatetto hanno deliberatamente avuto figli che sapevano di non potersi permettere;
– molti dei senzatetto abusano di droghe e alcol;
– i senzatetto che sono malati di mente dovrebbero tutti essere seguiti agli istituti psichiatrici;
– i nostri soldi sono sprecati su così tante persone che non meritano compassione.
Per una donna senza fissa dimora, il giudizio della società non riguarda solo ciò che ha perso, ma anche ciò che avrebbe dovuto essere: una madre, una moglie, una custode della famiglia”.

Violenza: causa e conseguenza.
Un tema ricorrente e drammaticamente inascoltato è il legame tra la violenza di genere e la condizione di senzatetto. Molte delle donne intervistate dalla Russel raccontano di essere finite in strada per sfuggire ad abusi domestici, solo per trovarsi esposte a nuovi rischi. La strada diventa un luogo di vulnerabilità estrema, dove la violenza è una costante.
La strada rappresenta un paradosso nella ricerca di un impossibile compromesso tra la ricerca di visibilità – la necessità di denuncia, ascolto, sicurezza – e vulnerabilità, nella speranza di un’impossibile (o quantomeno rara) solidarietà che sappia offrire una protezione relativa
“La strada non è un rifugio: per molte donne, rappresenta solo un altro capitolo di una vita segnata dalla violenza”.
Nonostante le difficoltà, molte donne senza fissa dimora dimostrano una straordinaria resilienza. Betty G. Russell esplora le reti informali di supporto che queste donne costruiscono tra loro, sottolineando come la solidarietà rappresenti spesso una delle poche risorse disponibili.
Un tema, questo, che mi riprometto di approfondire in futuro attraverso alcune interviste.
Salute mentale e fisica.
Un altro tema cruciale affrontato nel libro è l’impatto devastante della condizione di senzatetto sulla salute mentale e fisica delle donne. Russell descrive come i traumi vissuti in passato, combinati con le difficoltà della vita in strada, portino a gravi problemi di salute mentale, come depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico (PTSD). La difficoltà di accesso a cure mediche, unita alla vergogna nel parlare della propria condizione di fragilità, aggrava ulteriormente la loro vulnerabilità.
“Per queste donne, la salute non è una priorità: lo è sopravvivere. Eppure, la sopravvivenza stessa dipende dalla salute, creando un circolo vizioso impossibile da spezzare senza aiuti esterni”.

Narrazioni personali: resilienza e dignità.
Uno degli aspetti che ho trovato più forti di “Silent Sisters” è la capacità di Betty G. Russell di dar voce alle donne attraverso le loro storie personali. Questi racconti umanizzano una condizione spesso ridotta a statistiche, mostrando il coraggio e la forza interiore di queste donne di fronte a sfide apparentemente insormontabili.
“Raccontare la propria storia è un atto di resistenza: significa affermare che, nonostante tutto, la propria vita ha valore.”
In una delle testimonianze per me più toccanti, una donna racconta come la scrittura di poesie l’abbia aiutata a preservare un senso di identità e dignità, anche in mezzo alla disumanizzazione della vita in strada. Questi atti di resilienza, sebbene piccoli, rappresentano una forma di resistenza alla marginalizzazione.
“Silent Sisters”, pur essendo un libro uscito nel del 1991 è uno dei pochi testi a focalizzare la propria attenzione sulle donne e aa affrontare con lucidità il rapporto tra la condizione di senzatetto e le dinamiche complesse che creano e perpetuano lo stigma e le forme di esclusione sociale che cresce in un contesto dove la capacità di essere comunità, di fare si che l’essere cittadini significhi prendersi cura degli altri.

Le dimenticate in Italia.
In Italia, la questione delle donne senza fissa dimora è una realtà rimossa. Secondo i dati ISTAT del 2021, su un totale di 96.197 persone senza tetto, 30.790 sono donne, rappresentando circa il 32% della popolazione senzatetto . Questa percentuale evidenzia una presenza significativa e in crescita di donne in condizioni di estrema fragilità personale e sociale.
Le cause della povertà e dell’emarginazione
Come ho avuto modo di scrivere nel post Povertà, precarietà e invisibilità: la storia di Francesca P., le cause che conducono le donne a questa situazione sono molteplici e spesso interconnesse. La violenza domestica è una delle principali: molte donne fuggono da ambienti familiari aggressivi senza avere un luogo sicuro dove potersi rifugiare. Ci sono inoltre inoltre alcuni multifattori evidenti come la disuguaglianza salariale, la difficoltà nel trovare un’occupazione stabile, gli affitti che hanno prezzi inaccessibili, la mancanza di reti famigliari di accoglienza o la difficoltà di ottenere un ascolto e un supporto sociale che rendono le donne particolarmente vulnerabili spesso lasciandole senza reali alternative se non la strada.
La distribuzione geografica delle donne senza fissa dimora varia sul territorio nazionale. Le grandi città come Roma, Milano e Napoli registrano numeri più elevati, con Roma che ospita il 23% del totale delle senzatetto in Italia. Tuttavia, anche in centri urbani più piccoli si rileva una presenza significativa di donne in condizioni di povertà estrema, spesso invisibili agli occhi della comunità.
A ciò si aggiunge lo stigma legato alle donne che ricevono assistenza sociale: vengono spesso definite “parassiti” o “pigre”, ma queste etichette sono lontane dalla verità. Per alcune, il welfare è l’unico mezzo per sopravvivere, soprattutto quando hanno figli a carico.
La testimonianza: una voce di chi vive per strada.
Ho avuto modo di parlare con una volontaria di nome Maria L.
Maria è stata senzatetto per gran parte della sua vita, e la sua esperienza aiuta a comprendere le difficoltà che le donne affrontano in questa condizione. Maria, oggi di mezza età, è stata ospite di diversi centri di accoglienza a partire dai 14 anni, quando ha perso la casa per la prima volta. Maria mi racconta:
“Non mi hanno mai chiesto come stavo, né se avessi subito qualcosa di brutto da bambina o se stessi lottando con problemi mentali. Credo che abbiano semplicemente dato per scontato che dovessi averne. Ho incontrato molte donne per strada con schizofrenia o altri disturbi, ma non era il mio caso. Io avevo incubi, ho tentato il suicidio almeno quattro o cinque volte. Ero finita in un tunnel: droga, sesso, strada. Una non vita. In ogni centro mi veniva chiesto di raccontare la mia storia, ma nessuno mi ascoltava veramente. Dopo il quarto o quinto assistente sociale, ho smesso di provarci. Ti senti inutile, invisibile. Come se non contassi nulla”.

I rischi e la vulnerabilità delle donne senzatetto.
Molte donne senza fissa dimora hanno subito abusi sessuali o fisici durante l’infanzia, così come violenza domestica da adulte. Si stima che almeno il 63% delle donne senzatetto abbia vissuto episodi di violenza domestica. Questi traumi portano spesso a disturbi da stress post-traumatico e ad altre problematiche psicologiche, che raramente vengono affrontate adeguatamente dai servizi sociali o dalle organizzazioni di aiuto. Circa il 65% delle donne senzatetto soffre di disturbi mentali, e quasi la metà presenta gravi episodi di depressione, una percentuale doppia rispetto alla popolazione femminile generale. Maria racconta:
“Avevo solo 14 anni quando sono rimasta incinta. Mia madre non mi ha creduto quando le ho detto che era stato uno dei suoi compagni. Mi ha cacciato di casa la stessa notte. Non avevo altra scelta che arrangiarmi.”
Le donne che vivono per strada sono esposte a un rischio elevatissimo di abusi sessuali e violenze fisiche. Alcune sono costrette a prostituirsi per sopravvivere, scambiando prestazioni sessuali per protezione o per un posto dove dormire. Questa condizione le espone a situazioni estremamente pericolose, che spesso portano a ulteriori traumi, dipendenze da sostanze e, in alcuni casi, alla morte. Maria continua:
“Quando ero giovane, ballavo in piccoli locali notturni. Spesso tornavo a casa con uomini che mi davano un po’ di soldi, cibo, un letto per un paio di giorni. A volte mi offrivano anche droga, così almeno non dovevo dormire in strada. Non è vita, ma è quello che potevo fare.”
Sfide quotidiane e bisogni di base.
Tra le difficoltà uniche affrontate dalle donne senza dimora c’è la gestione della propria igiene personale durante il ciclo mestruale. Il costo medio annuale di assorbenti e tamponi è di circa 100 euro, una spesa difficile per chi vive in strada. Inoltre, molte donne affrontano problemi di salute come l’HIV/AIDS o l’epatite C, spesso contratte attraverso rapporti non protetti o l’uso di aghi infetti.
Maria conclude:
“Conosco tante donne che non ce l’hanno fatta, morte per droga, malattie o per mano di qualcuno. È una vita di sopravvivenza, non di dignità.”
Bibliografia.
Shadow Women (Routledge Revivals): Homeless Women’s Survival Stories, Marjorie Bard
Organizational and Community Responses to Domestic Abuse and Homelessness, Marjorie Bard
The Homeless Person in Contemporary Society, Cameron Parsell.
Silent Sisters: An Ethnography of Homeless Women, Betty G. Russell.

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