“Stiamo affrontando un problema formidabile nella nostra economia politica globale: le nuove logiche di espulsione. Negli ultimi due decenni abbiamo assistito a una forte crescita del numero di persone, imprese e luoghi espulsi dagli ordini sociali ed economici centrali del nostro tempo.”
Saskia Sassen, Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale.
Superare l’assistenzialismo: una visione civica contro la marginalità.
Il progetto Commoning nasce dalla consapevolezza che la povertà estrema non è soltanto scarsità materiale, ma una forma avanzata di espropriazione politica, sociale e simbolica.
È un processo di sottrazione progressiva di potere, parola, riconoscimento e possibilità concreta di futuro, che produce fratture profonde nel tessuto sociale. In questo contesto, la grave marginalità adulta viene spesso trattata come un fallimento individuale o una deviazione da normalizzare, da gestire con strumenti emergenziali e risposte amministrative, secondo una logica che privatizza la sofferenza e ne neutralizza le implicazioni politiche.
Ma occuparsi del dolore degli altri, in questa prospettiva, non è un atto umanitario: è, come scrive Gian Andrea Franchi, un gesto politico. Significa allearsi concretamente con corpi che portano in sé un messaggio di ingiustizia che ci riguarda direttamente — e non solo perché ne siamo in parte complici. Intervenire sul dolore altrui, nella sua concretezza storica, fisica e relazionale, significa nominare anche il nostro: riconoscere, conoscendone la differenza, che ciò che accade ai margini parla di noi, della nostra società, del nostro presente. Non si tratta di soccorrere, ma di decostruire insieme un ordine sociale violento che si nasconde dietro il linguaggio della normalità.
Commoning si propone come gesto critico di contro narrazione e di restituzione parziale: tenta di riaprire i legami spezzati tra presenza, parola, istituzione e diritto, e di rimettere in circolo ciò che è stato escluso, silenziato, delegittimato.
Al cuore di questa postura critica c’è la consapevolezza, ben espressa da Nancy Fraser, che la povertà non sia una semplice mancanza, ma l’esito di una disarticolazione simultanea delle sfere della redistribuzione, del riconoscimento e della rappresentanza.
In questo senso, ogni pratica di risposta non può essere neutra: è sempre, prima che un atto solidale, un atto politico.
Seguendo la linea teorica che unisce Hannah Arendt a Étienne Balibar, Commoning rifiuta l’idea della cittadinanza come status statico per proporla come pratica agonistica: una “politica dell’inizio”, fondata sulla possibilità di generare istituzioni vive, regole condivise, circuiti di senso e relazione.
Qui la cittadinanza non è ciò che si riceve, ma ciò che si esercita; non ciò che definisce un’appartenenza, ma ciò che permette di aprire uno spazio comune, di renderlo abitabile, giusto, condiviso.
Obiettivo del progetto è mettere in luce la tensione tra le finalità dichiarate e i processi negoziali che attraversano ciascuna pratiche collettive situate che andremo ad approfondire. Solo così può emergere la vera essenza del commoning.

Pratiche e dispositivi comunitari: racconto, ricerca, azione.
Nel cuore iniziale del progetto vivono le storie sin qui raccolte, le prime dieci esperienze – Fonderie Ozanam, Radio Piazzetta, Banca delle Visite, Ciclofficina Sociale di Cormano, Avvocato di Strada, Il Girevole, K-Alma, BRIChECO e Stecca 3.0, Case di Quartiere, Portinerie di Comunità, DAR=Casa, Albergo Etico – che non sono semplici risposte di servizio, ma “dispositivi di trasformazione” capaci di un ri-pensamento locale della pratica di cittadinanza. Ogni progetto mette in luce idee generative, nate dal basso, che diventano infrastrutture affettive e politiche: la ristorazione diventa strumento che costruisce socialità e percorsi di riscatto, le radio, i podcast i magazine, danno voce e riconoscimento a chi resta ai margini, le cooperative artigiane ricuciono il sé e i legami sociali, i presìdi sanitari e giuridici restituiscono dignità ai bisogni, ma soprattutto il diritto di prendere parte alle decisioni pubbliche.
Queste forme di azione operano fuori dalla logica estrattiva della sharing economy (vedi il post “Possiamo considerare la Sharing Economy una reale alternativa allo sfruttamento capitalistico?”), che riproduce forme di precarizzazione e accentramento di valore, e si distanziano anche da una gestione del volontariato — strumento centrale in ampie aree del terzo settore — , funzionale all’esecuzione di compiti organizzati e definiti gerarchicamente, in cui i volontari non partecipano quasi mail ai processi progettuali e decisionali, ma sono coinvolti in prevalenza nelle fasi esecutive.
Questi progetti non si limitano a supplire alle mancanze del welfare pubblico, ma ripensano le sue forme stesse: ibridano modelli, costruiscono governance diffuse, mettono in comune spazi, decisioni, risorse. Praticano la co-progettazione e la cura collettiva, facendo della partecipazione uno spazio di conflitto produttivo, di creazione di alternative istituzionali e nuova mutualità. L’azione diventa efficace laddove teoria e prassi, riflessione critica e strumenti concretissimi, si intrecciano allo scopo di generare legami, ricomporre le fratture, produrre emancipazione senza ridursi mai ad assistenza residuale.
Tutte queste esperienze condividono una postura netta: non si lasciano assorbire né dalla logica del servizio, né da quella del mercato. Operano in una zona autonoma, fatta di mutualismo, prossimità, cooperazione. Il modello non è l’impresa né l’assistenza, ma la comunità che si istituisce come spazio terzo, decisionale, come forma di contropotere.
Nel loro agire si riconosce una forma di istituzione minima, fondata non sulla norma, ma sull’ascolto e sulla condivisione di potere. Sono “infrastrutture relazionali” — per usare un’espressione di Lauren Berlant — che rendono possibile la sopravvivenza, ma anche la trasformazione. E nella misura in cui uniscono prassi e riflessione critica, rappresentano una forma embrionale ma reale di “contro-istituzione democratica”.
Anziché riprodurre verticalismi e meccanismi di dipendenza, questi progetti fanno della comunità il luogo dell’autodeterminazione. Come indica Donatella della Porta, sono esempi vivi di “democrazia dei beni comuni” (“Movimenti sociali e partecipazione democratica”, Feltrinelli, 2019), adottando una struttura orizzontale, condivisa, capace di connettere risorse, competenze, identità e bisogni. Qui la dimensione locale conta: ogni esperienza nasce in risposta a un bisogno di contesto, si modella sulle specificità dei territori locali, genera reti che ramificano attorno alla conoscenza concreta dei quartieri e delle persone, producendo impatti capaci di mutare la qualità stessa della convivenza.

Cittadinanza attiva come radicalità trasformativa.
Nel lessico dei progetti che Commoning vuole documentare, la cittadinanza non coincide con il diritto acquisito né con la passiva fruizione di servizi, ma con la funzione politica di generare trasformazione: è possibilità reale di nominare, agire, interrogare le regole e generare istituzione. Le organizzazioni raccolte nel progetto – cooperative, fondazioni, reti civiche – non sono semplicemente erogatori di servizi in supplenza rispetto al welfare pubblico indebolito, ma diventano laboratori di alleanza civica, in cui la governance diffusa e la presa di parola fanno emergere modelli istituzionali nuovi.
La partecipazione non è decorativa, ma sostanziale: incide, orienta, cambia. Ed è questa partecipazione piena che distingue Commoning da ogni modello estrattivo di sharing economy.
Seguendo Miguel Benasayag, questa radicalità concreta non si manifesta come utopia, ma si realizza in rotture nel reale: nella revisione degli statuti cooperativi per condividere il potere decisionale, nella progettazione partecipata dove protagonismo e mutualità ridefiniscono il senso stesso della cittadinanza (“Per una nuova radicalità. La potenza del Movimento e il potere della politica”, Il Saggiatore, 2004 e “Controffensiva. Agire e resistere nell’epoca della complessità“, Feltrinelli, 2025)”.
La trasformazione qui raccontata è istituzionale e non episodica: riguarda anche il linguaggio, perché la povertà non è più “fragilità” da proteggere paternalisticamente, ma condizione politica da nominare e affrontare collettivamente. Il lavoro sulla parola diventa esso stesso parte dell’azione trasformativa: la capacità di nominare il proprio mondo e di costruirne il racconto è uno degli strumenti più potenti per uscire dalla marginalità.

Un laboratorio in divenire, una mappa mappa critica viva.
Commoning si configura come laboratorio-processo, una ricerca-azione, con l’obiettivo, entro il 2026, di documentare, analizzare, sperimentare, connettere tra loro e rendere replicabili almeno cinquanta esperienze italiane, restituendo una grande mappa narrativa, operativa e critica dei territori. Il sito internet – che sarà attivo dalla fine del 2025 – sarà piattaforma civica e infrastruttura multimediale, open source e accessibile, articolata tematicamente su sui temi di: casa, lavoro, salute, alimentazione, educazione, giustizia, cultura, governance, narrazione e innovazione sociale. Non sarà un semplice contenitore, ma uno spazio di confronto, formazione e scambio tra operatori, attivisti, docenti, cittadini, amministratori pubblici e nuove generazioni.
Qui troveranno spazio interviste integrali, e nel tempo, materiali audio-video, toolkit, reportage fotografici, mappe interattive, paper scaricabili e strumenti replicabili. La conoscenza raccolta diventa azione pubblica e punto d’appoggio per costruire alleanze. La narrazione, la documentazione e la rilettura continua delle esperienze sono esse stesse già atto costituente: racconto e istituzione viaggiano insieme, perché non c’è trasformazione senza il coraggio di condividere parola e memoria.
Nel 2026, il percorso confluirà in un volume collettivo, che sarà allo stesso tempo atlante politico, mappa ragionata e manuale operativo: una cassetta degli attrezzi e, insieme, una dichiarazione critica sullo stato dell’arte dell’innovazione sociale italiana, utile a chiunque voglia generare istituzioni nuove nei territori e costruire reti di alleanza.

Progetti sperimentali: parola, linguaggio, diritti.
Accanto al percorso principale, Commoning alimenta un ecosistema di altri progetti sperimentali che lavorano sulle dimensioni narrative, pedagogiche e linguistiche della marginalità. Alcuni di questi sono già attivi in forma embrionale, altri in fase di avviamento tra il 2025 e il 2026, ma tutti avranno propri spazi digitali e saranno pensati per l’incontro diretto con scuole, comunità, città.
#unboxingpoverty è un cantiere di domande on-line – cento voci di pensatrici, attivisti, artisti, operatori, filosofi, politici provenienti da mondi diversi, ognuna chiamata a definire, raccontare, confrontarsi con una parola-chiave della povertà contemporanea – che punta a costruire un lessico condiviso e risorse didattiche per laboratorî civici nelle scuole. Nel tempo, si trasformerà in piattaforma e percorso itinerante di formazione critica.
Selfie Senza Fissa Dimora raccoglie auto-narrazioni, audio, fotografie, ebook da parte di persone senza dimora che scelgono la propria forma di racconto, componendo un archivio polifonico e non mediato, che entro la fine del 2026 avrà uno spazio internet dedicato e alimenterà mostre, laboratori civici costruiti con le stesse persone protagoniste di questi vissuti.
Le Nostre Domande Frequenti è un laboratorio linguistico e politico che in incontri pubblici raccoglie domande formulate da persone senza dimora su: casa, salute, giustizia, affetti, lavoro. Il progetto si articola in 10 incontri in 10 città italiane: in ciascuno, dieci persone in condizione di grave marginalità adulta pongono 10 domande, che saranno rivolte a 1000 decisori pubblici — politici, amministratori, rappresentanti del terzo settore. Le domande, archiviate online insieme alle risposte (o ai silenzi), daranno vita a un confronto visibile, documentato, accessibile. Entro il 2026, il percorso si tradurrà in un’esposizione e un libro collettivo con contributi critici, materiali narrativi e risorse per la cittadinanza attiva, i cui ricavi sosterranno le organizzazioni coinvolte.
Questi sono solo alcuni dei progetti sui quali stiamo lavorando, dispositivi tutti autofinanziati, autonomi da logiche di sponsor e aperti alla continua sperimentazione. E rappresentano soltanto la base di una crescita futura: accanto a questi progetti, Commoning intende avviarne altri in collaborazione con partner territoriali, per allargare l’infrastruttura critica e le occasioni di alleanza civica.

Narrare, documentare, generare istituzione.
La stessa scelta di narrare, documentare, raccogliere voce non è solo restituzione di visibilità, ma costruisce legami nuovi, occasioni di fiducia, circuiti di reciprocità. Narrazione e istituzione diventano una cosa sola: riattivano possibilità di decisione condivisa e danno forza alla dimensione generativa della speranza. Come ricorda Ernst Bloch:
“La speranza è la categoria decisiva per la prassi storica e politica, poiché essa non s’inchina al reale come dato definitivo, ma lo investe delle sue possibilità ancora non realizzate.”
Sostenere queste pratiche vuol dire infatti puntare a una “ecologia della speranza” che sappia fondare processi, non limitarsi a gesti episodici o d’emergenza.

Il margine come fondamento.
Occuparsi di grave marginalità adulta non significa soltanto affrontare una forma estrema di esclusione. Significa mettere in discussione le fondamenta stesse del vivere insieme: la casa come diritto e non come merce, la salute come condizione e non come privilegio, il lavoro come strumento di riconoscimento e non di sfruttamento.
Significa tornare là dove la cittadinanza si spezza, dove i diritti diventano occasionali, dove la vita si fa amministrabile — e ricominciare da lì, non per aggiustare, ma per ricostruire con altri criteri, altri linguaggi, altre alleanze.
Eppure, proprio lì — dove lo spazio pubblico si ritrae, dove la voce non è prevista, dove la presenza non è autorizzata — si aprono possibilità radicali di trasformazione. Non perché la sofferenza redima, ma perché obbliga a riscrivere ciò che riteniamo giusto, abitabile, possibile.
La grave marginalità adulta, in questa prospettiva, non è una condizione da contenere, ma una cartina di tornasole della democrazia, un dispositivo critico che interroga le nostre parole, le nostre leggi, le nostre architetture sociali. Per questo non può essere lasciata ai margini dell’innovazione, della politica, del pensiero.
Commoning si muove qui: dentro questa soglia fragile ma generativa, dove non servono ricette salvifiche, ma strumenti replicabili, modelli da studiare, adattare, mettere in comune.
Dove non basta “aiutare”, ma serve immaginare nuove istituzioni, nuove forme di partecipazione, nuovi dispositivi civici che siano radicati nei territori e aperti al conflitto, capaci di affermare diritti e generare potere condiviso.

Ripartire dal margine significa ripensare il centro.
È lì, nella vita quotidiana di chi è stato espulso, che si misura la qualità reale della cittadinanza.
È da lì che può nascere una nuova ecologia del bene comune: non solo da difendere, ma da ricostruire, da progettare, da abitare insieme.
“Costruire comunità richiede una vigilante consapevolezza del lavoro che dobbiamo svolgere continuamente per smantellare tutti i processi di socializzazione che ci portano a perpetuare forme di dominio.”
bell hooks, Teaching Community: A Pedagogy of Hope
Bibliografia.
Saskia Sassen, Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale, Il Mulino, 2015.
Nancy Fraser, Redistribuzione o riconoscimento? Un dibattito politico-filosofico, Meltemi, 2003.
Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, 2004 (orig. 1958).
Étienne Balibar, Cittadinanza, Raffaello Cortina, 2003.
Miguel Benasayag, Per una nuova radicalità. La potenza del movimento e il potere della politica, Il Saggiatore, 2004.
Miguel Benasayag, Controffensiva. Agire e resistere nell’epoca della complessità, Feltrinelli, 2025.
Donatella della Porta, Movimenti sociali e partecipazione democratica, Feltrinelli, 2019.
Lauren Berlant, The Commons: Infrastructures for Troubling Times, Duke University Press, 2023.
bell hooks, Teaching Community: A Pedagogy of Hope, Routledge, 2003.
Peter Block, Community: The Structure of Belonging, Berrett-Koehler Publishers, 2009.
Gian Andrea Franchi, Per un comunismo della cura, Derive Approdi, 2025
The Care Collective, Manifesto della cura: Per una politica dell’interdipendenza, Alegre, 2021
Giovanni Moro, Cittadinanza attiva e qualità della democrazia, Carrocci, 2013

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