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Lo Streatwear. Intervista a Steven Vogel.

Mario Flavio Benini – Cos’è lo streetwear, è ancora importante?
Steven Vogel – Mi è stata fatta questa domanda più volte di quanto osi o mi importi ricordare. La colpa è anche mia, perché il fatto di aver scritto un po’ di anni fa un libro intitolato “Streetwear”, ha indotto la gente a pensare che io sappia veramente di cosa si tratta. Ebbene non lo so. O meglio, per essere precisi, so cosa significa per me, ma ciò non mi consente di definirlo in assoluto e anzi non credo di doverlo fare. Tuttavia spiegherò cosa voglia dire per me e come sono arrivato a tale personale definizione. Lo streetwar, così come lo conosco e l’ho vissuto, è qualcosa di profondamente soggettivo, e se non lo si inserisce all’interno di un preciso contesto culturale non ha nessun significato. Per spiegare cosa significhi per me lo streetwear devo tornare indietro nel tempo e descrivere il contesto in cui sono cresciuto e che mi ha portato a scrivere un libro 16 anni dopo.Tale contesto è inizialmente nato come sub-cultura e solo successivamente è diventato il fulcro di quello che oggi è percepito pubblicamente come streetwear. Nel 1990 sono cresciuto in mezzo ad un gruppo di vecchi amici che andavano sullo skateboard a ascoltavano musica punk, hardcore, post hardcore o cross over (come la chiamavamo allora) e heavy metal. A quell’età mitizzavo certi skaters e rock stars, come ogni adolescente, e di conseguenza ho iniziato a vestire come loro (o per lo meno a tentare di farlo) indossando vestiti americani. C’era una band in particolare in quegli anni che mi ha fatto veramente scattare la scintilla. Erano i Suicidal Tendencies, una band di Los Angeles, decisamente coinvolta nello skateboard, nella politica e nei graffiti. Il loro cantante solista, Make Muir, aveva uno stile davvero singolare ed era uno che trascinava l’intero gruppo ed ha portato alla ribalta sulla scena di Los Angeles la cultura skate emergente, così come la Mexican Gang Culture nel Sud Est di L.A, dai pantaloni larghi, i colori tinta unita, gli abiti da lavoro, bandane e così via. Penso davvero che quella sia stata la prima volta nella mia vita in cui ho visto uno stile di abbigliamento unico, ben definito, e l’ho imitato. Ironicamente, questo non è stato solo il mio caso, ma quello di intere legioni di ragazzini di città frustrati, in tutto il mondo. Penso che Mike Muir, che ancora non se ne rendeva conto, in quel modo ha dato inizio allo stile di abbigliamento tipico dei primi anni dello streetwear.

Come ho detto prima, questo è molto personale e non riflette la scena in generale. I primi anni 90 hanno visto la nascita di così tante diverse sub-culture, quali  l’hip hop, i graffiti, il punk, l’hardcore, lo skateboard, che è difficile definire lo streetwear così come noi lo vivevamo allora. Tale frammentazione è stata la ragione per cui i grandi marchi di abbigliamento non si sono occupati molto dello streetwear. Questo fino a quando lo skateboard non ha assunto un ruolo così rilevante da far realizzare alle multinazionali ed ai loro analisti finanziari che c’erano un bel po’ di soldi da fare con quei ragazzini. Questo è stato il momento in cui tutto è più o meno andato fuori controllo, ma purtroppo non si può fermare il cambiamento per rimanere aggrappati al passato glorioso di un gruppo di adolescenti. Lo streetwear, così come lo conosciamo oggi, è stato strappato da questo contesto ed è stato reso impersonale attraverso internet e il marketing massificato delle grosse società. Sempre secondo la mia personale opinione, lo streetwear ha perso la propria anima e quello che c’era di buono, come la libertà creativa dello skateboard, l’amore per la buona musica, l’interesse per il resto del mondo e il desiderio di cambiarlo, ma a chi importa?

Steven Vogel, Amburgo.

MFB – Berlino, è stata descritta in questi ultimi 10 anni come una città davvero vivace per ciò che riguarda le culture urbane. Era la tua base, quindi forse ci puoi dire qualcosa su come sta cambiando questa città, quali sono i suoi pregi e i suoi difetti?
SV – Anche se io ora vivo ad Amburgo, in effetti in passato ho vissuto diversi anni a Berlino. Berlino è la capitale europea più economica nella quale vivere al giorno d’oggi, ma anche questo si sta lentamente modificando. Il fatto che sia così economico viverci è una lama a doppio taglio. Da un lato è meraviglioso per gli artisti di tutte le discipline che possono starci senza troppi problemi economici, diversamente da Londra, Parigi, New York o Tokio ad esempio, e la città offre molti spazi e contesti dove potersi esprimere. Ciò ha comportato che un grande numero di artisti internazionali, e aspiranti tali, si siano riversati in città. Ovviamente questo ha generato un’atmosfera di creatività che desta un interesse internazionale nei confronti di Berlino. Tuttavia esiste anche un rovescio della medaglia. La mancanza di pressione commerciale e di investimenti, sia nelle industrie private che in quelle statali, generano una sensazione di letargo. In questo senso la politica di sinistra berlinese non aiuta. Per quanto riguarda il contesto artistico, non c’è bisogno di avere successo per sopravvivere a Berlino, e ritengo che questa sia la ragione per cui molti artisti non si impegnano al massimo per  esprimere tutto il loro potenziale. Inoltre credo che la maggior parte degli artisti che vivono e lavorano a Berlino, nel campo della moda, della musica o dell’arte tradizionale, non siano sullo stesso piano in termini di qualità, rispetto ai loro colleghi internazionali. Un’altra caratteristica di Berlino è il suo atteggiamento esclusivista (e questo ha radici storiche) che spinge gli abitanti a limitarsi a vedere solo il contesto in cui vivono, senza mai spingersi oltre. È evidente che questo porta con sé aspetti sia positivi che negativi. Tutto sommato è una bella città in cui vivere e tornare a rilassarsi.

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MFB – Mentre cosa ci puoi dire di Amburgo?
SV – Amburgo è la città da dove provengo, è una bella città, anzi un luogo fantastico, ha un sacco di natura accessibile. E in secondo luogo, è casa. Come un emigrante che ha vissuto lontano da casa negli ultimi anni 20, è bello essere di nuovo a casa. In terzo luogo, per la vita notturna, ha un grande, ventre scuro pino di locali intimi dove si fa musica. St. Pauli, dove vivo, è probabilmente uno dei posti migliori del mondo.

MFB – Cos’è  Black Lodges?
SV – Black Lodges è il nome dello studio associato che avevo prima di fondare con Nina (Vogel) Freebird Bureau. Gran parte del lavoro di Black Lodges lo svolgevo per la Burton Snowboard e  i suoi marchi Gravis Shoes e Analog Clothing. Il mio ruolo per la Burton era quello di “Global Special Projects Manager”, ovvero mi occupavo di ideare progetti speciali per creare rilevanti prodotti di nicchia. Quello che faccio è il più bel lavoro che possa desiderare. Con Nina offriamo servizi di consulenza per una vasta gamma di aziende nel mondo quando si tratta di prodotti di design e marketing.
Blacklodges.com è stata anche la mia fanzine online, dove scrive (e volte ancora scrivo) e presento tutto quello che mi interessa. È un sito assolutamente non commerciale che rende omaggio all’arte e alla scrittura, alla politica e alla musica, senza compromessi editoriali dovuti alla pubblicità. Essenzialmente, Black Lodges è qualsiasi cosa io voglia.

MFB – Il tuo background è molto legato allo skate ed hai conseguito una laurea. Quali studi hai fatto e come sei finito a scrivere un libro sui vestiti?
SV – La colpa di tutto è dello skateboard, o almeno i miei genitori hanno incolpato lo skate perché non sono diventato il politico di successo che speravano! Io dico che lo skate mi ha salvato la vita. Mi ha fatto diventare quello che sono oggi, ho conosciuto la maggior parte dei miei migliori amici, proprio andando sullo skate. Ho studiato Storia e Teoria Politica all’università, e all’inizio pianificavo di lavorare per un’organizzazione non governativa. Ho anche avuto qualche esperienza di lavoro per l’ONU ed ho svolto qualche piccolo incarico per la NATO. Ma dopo un anno di studi ho realizzato che preferivo lavorare nel mio negozio di skate e dischi, e godermela un po’.  E da questo ne ho ricavato uno stile di vita. Il mio primo libro è arrivato perché mi piace molto scrivere e Thames &Hudson mi ha suggerito di pubblicarlo. È stata una decisione presa d’istinto, ma ne sono soddisfatto. Sempre per Thames &Hudson da poco con Nicholas Schonberger e Calum Gordon ho pubblicato “Contemporary Menswear.
A Global Guide to Independent Men’s Fashion” una sezione di più di 50 designer, marchi internazionali, negozi, blog e siti web indipendenti che hanno plasmato la moda maschile indipendenti di negli ultimi dieci anni. Anche questa una bella esperienza.

MFB – Nella tua carriera e mentre stavi scrivendo il libro hai incontrato molte persone più o meno note. Chi ti ha colpito di più?
SV – Ognuno di loro. La maggior parte delle persone citate nel libro sono miei amici da lungo tempo e tutti continuano ad impressionarmi per la loro creatività e perseveranza. Non c’è molto guadagno economico nel vivere facendo solo ciò che ti piace, ma questo è quello che amo della mia vita e dei miei amici: non ci sono compromessi e viviamo realmente. Questo è quello che conta.

MFB – Le cinque canzoni/cd più importanti della tua vita?
SV – Impossibile rispondere. Cambiano in base ai giorni, ma ci provo ugualmente:
Black Sabbath, Paranoid
Led Zeppelin, I
Kyuss-Sky, Valley
Guns n’Roses, Appetite for Destruction
AC/DC, 
Highway to Hell.

Steven Vogel è uno scrittore, un blogger, un musicista e uno skater. È autore di “Streetwear. The insider’s guide”, enciclopedica guida sull’abbigliamento ispirato e creato per la vita urbana e di “Contemporary Menswear. A Global Guide to Independent Men’s Fashion” entrambi pubblicati da Thames &Hudson. Collabora con Street Wear Magazine ed è stato Project Manager di Bread&Butter a Berlino, società di consulenti di brand e organizzatori di trade shows.
Attualmente è il direttore creativo e partner di Freebird Bureau, un’agenzia di design e comunicazione con sede ad Amburgo. Ha lavorato con clienti come: Burton, Edwin Europe, Closed, Garbstore, Levi’s, Sailor Jerry and many more. Inoltre segue il brand del magazine online e shop Black Lodges. Freebird Bureau cura “Capsule“, una fiera che si svolge due volte l’anno a Berlino durante il Fashion Week.

Steven Vogel, per SignJam 08 per un workshop “Streetwear. Incursion into this Street Culture” Le immagini del workshop sono disponibili su Flickr.
I sui siti web: http://freebirdbureau.comhttp://www.blacklodges.com/
Il suo Instagram: http://instagram.com/stevenvogel
Il suo Facebook: https://www.facebook.com/pages/Black-Lodges/573321216066029
Il suo Twitter: https://twitter.com/blacklodges

Per conoscere meglio il lavoro di Steven Vogel, un interessante articolo realizzato per “The Hundreds” in cui Steven Vogel intervista  quattro dei maggio talenti dello Streetwear: Fats Sharif , Dave White , Jason Bass , e Matt Irving.

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