ma l'amor mio non muore

Essere umani (troppo umani).

“Il futuro non appartiene alla lotta di classe, ma ad una lotta emancipatrice senza classi”.

Warum das Proletariat im kapitalistischen Krisenprozess nicht wiederaufersteht“, Norbert Trenkle

Karl Marx, ne “I manoscritti economico-filosofici” (detti anche Manoscritti di Parigi), una serie di note scritte nel 1844 e pubblicate successivamente nel 1932, quando parla di “vita del genere” e “vita individuale” – la comprensione dell’essere umano dal punto della vita del genere – pensa che la natura sia il grande corpo privo di organi dell’essere umano, e che la vita dell’uomo sia semplicemente natura, una natura che inspira ed espira. È questo ciò che Marx chiamerà in seguito “il regno della libertà”. È un luogo in cui non è possibile programmare nulla – gli uomini vivono e muoiono come esseri naturali.
La vita individuale, dall’altro lato, è invece il luogo in cui ogni essere umano dovrebbe essere un esempio dell’essere umano universale e dei diritti universali dell’uomo.

“Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria”.

Il Capitale. Critica dell’economia politica“, Libro III, cap. 48-III

Si tratta di un pensiero che Marx eredita, ciò che cambia è che la versione di Marx dell’uso pubblico della ragione, per citare Immanuel Kant, proviene dal basso e non dall’alto. Ecco la sua distinzione. Se osserviamo il Max di mezza età, ciò a cui egli aggiunge è che l’essere umano è un luogo di differenza – lui o lei possono fare più di quanto sia loro necessario. È proprio in questa differenza, in questa faglia che emerge il capitale. È il rapporto esistente tra l’essere umani e l’autodeterminazione del capitale: l’essere umano come colui che lavora. Dall’altro lato ci sono tutte le problematiche relative alla vita del genere.
Per me questo è sufficiente.
Ma il soggetto è ovviamente un soggetto autocosciente – ovvero toccato dalla coscienza di classe. Nel terzo volume del “Il Capitale”, negli ultimi tre capitoli per come li organizzò Friedrich Engels, “Per l’analisi del processo di produzione”, “L’illusione creata dalla concorrenza”, “Rapporti di distribuzione e rapporti di produzione”, e nel capitolo sulle “Classi”, incompiuto, Marx sostiene che non si debbano prendere i tratti del capitalismo industriale – in particolare modo in Inghilterra, che nel diciannovesimo secolo era già piuttosto progredita – come i tratti eterni della lotta di classe. Marx afferma che è se come prendessimo il lavoro, il salario e il profitto come “formula trinitaria” – se fosse solo questo il modello, sarebbe fare del marxismo una religione. Marx stava quindi cercando un nuovo modo di pensare che superasse le circostanze storiche. Quando arriviamo al capitolo sulle “Classi”, Marx afferma che la classe di per sé non è uno strumento di analisi sufficiente. Quando essa si lega – a livello storico – alla nascente formula del profitto, della rendita, dei salari, allora sì che è utile.

Dal momento che non siamo fuori dalle maglie del capitalismo industriale, anche se non dobbiamo pensare alla classe come un’istanza che determina la resistenza , poiché in tal modo ci dimenticheremmo di quanto risiede all’esterno della logica del capitale, tuttavia il problema di dimenticarci della classe a causa dell’accento posto sull’identità è un problema tipico della classe all’interno della metropoli, funziona bene rispetto allo sfruttamento. La classe non può essere quindi l’istanza determinate, poiché accadono molte cose che non sono affrontabili all’interno della logica di classe. Ciononostante il multiculturalismo liberale ignora il problema della classe e diventa strumento della mobilità sociale verso l’alto, sottolineando anche il problema della razza. Non possiamo avvicinarci al tema della globalizzazione e al suo rapporto con le persone senza diritti (ad esempio nel Sud del mondo), dove esiste una volontà generale di sfruttamento unicamente nella prospettiva di una logica di classe. La classe non può quindi essere un’istanza determinante. Il problema oggi è l’organizzazione – lavoro organizzato, precario, femminilizzato, lavoro a casa, la scomparsa della fabbrica attraverso il post fordismo, e via dicendo. La classe oggi è un problema al di fuori dei movimenti dei lavoratori, all’interno del multiculturalismo metropolitano. Ma allo stesso tempo non possiamo ignorare la classe come strumento di analisi perché equivale a lasciarla all’avversario. Sono temi sui quali è necessario fermarsi a riflettere – ad esempio il mondo in cui oggi le frontiere nazionali sono tornate ad essere demografiche come lo erano in passato – frontiere pre-capitalistiche, territoriali. Sono le frontiere demografiche che oggi sono diventate anche virtuali (qui la critica alle telecomunicazioni come accesso alla conoscenza deve essere esplicita). È li, sui temi della cultura, che la classe incomincia a diventare determinate, secondo me.

Discussione

2 risposte a "Essere umani (troppo umani)."

  1. C’è da aggiungere un “piccolissimo” dettaglio: per Marx, come per il marxismo conseguente, il Regno della Libertà “può fiorire SOLO sulla base di quel Regno della Necessità”. Nella frase conclusiva di questo passo del Capitale (Das Kapital), Marx mette bene in guardia il lettore: non ci si faccia illusioni che il regno della libertà sia un regime opposto a quello della necessità; esso altro non è che lo SVILUPPO di quest’ultimo, ed è pur sempre un regno della necessità. Si tratta, cioè, di un prodotto, di una diversità organica allo stesso regno della necessità e per nulla della sua negazione. Non a caso Marx ed Engels ripresero quetso tema da Hegel, che ben aveva carpito il rapporto tra libertà e necessità. Nell’accezione esclusiva di questa “fioritura” del regno della libertà sullo stesso regno della necessità sta la legge fondamentale: il regno di necessità è la base, la costituzione del regno di libertà che ESCLUSIVAMENTE su questo esso può realizzarsi. Insomma, per Marx, come per tutto il marxismo, non c’è per nulla questione di “uscita dal lavoro”! Lo stesso concetto è infatti del tutto antitetico rispetto alle tesi socialiste financo utopistiche. Che sia “tout-court” o di altro tipo, l’uscita dal lavoro è un concetto classista in generale e capitalista in particolare. Ciò che bisognerebbe assumere a coscienza è che c’è molto più socialismo nell’obbligo del lavoro (Marx, Das Kapital Vol. I) che non nel contro-lavoro di smithiana memoria.

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