
commoning
La speranza è nella lingua.
Sopra. A finalized indipendent time, 2013. Fotografia: Rune Guneriussen.
La speranza è una forza potente che abbiamo dentro, è un principio che ci porta a voler fare le cose. Possiamo pensare alla speranza in modo molto grezzo come: “spero di ottenere qualcosa di astratto o un bene materiale”. Ma non è questa la speranza, questa è la strada delle facili delusioni. La cosa più importante della speranza è quella sorta di stato dell’essere, una condizione desiderabile in cui speri e lavori e sogni e brami e vivi, tutti questi stati simultaneamente. E questi strati di percezione e energia e lavoro sono talmente legati gli uni agli altri da non poterli più distinguere. Sono come una partitura musicale in cui lo senti questo senso di speranza, ma non è chiaro se nasca dall’oboe, dal suono dei violini, da quel discreto, improvviso inserirsi della chitarra che è venuto e subito se n’è andato, o persino da quelle chimes comparse solo per un secondo. La speranza è quindi come la musica, perché non è una qualità circoscritta ad una cosa sola, ma è resa desiderabile dalla combinazione di più elementi.
Heidegger scrive che la speranza risiede nella lingua.
La speranza è quella parte della lingua a cui tendono le parole e che le frasi cercano di raggiungere per ottenerla solo attraverso la loro mescolanza piuttosto che attraverso i singoli componenti. In un certo senso la speranza si può leggere (sentire) solo tra le righe. Questa è una percezione netta, chiara che tutti sperimentiamo quando andiamo in un paese di cui non conosciamo la lingua. Sperimentiamo un senso di insoddisfazione e frustrazione in rapporto alla lingua.
Le cose non sono come dovrebbero essere. La parola “porta” non è quella che dovrebbe essere. Continui a rimbalzare tra le parole, oppure non ti fanno entrare quando vorresti lo facessero, oppure vai a scegliere sempre quelle sbagliate. Si vengono a creare una frustrazione, una delusione, una disperazione che possono sfociare nello scoramento o magari in una risata. La speranza è l’altra faccia di questa disperazione, e l’avvicinarsi di queste due cose ci ricorda che abbiamo bisogno anche dell’altra. Ci ricorda che il linguaggio in sé è incompleto dal momento che la comunicazione non viene mai distrutta dalla frustrazione di parole non adeguate.
La speranza ci fa muovere le braccia, ce le fa muovere per cercare di aprire quelle porte senza usare le parole. Ne nasce un ritmo, ed è quel ritmo a generare la speranza, non la parola in sé.
Grazie Giusy. Sto raccogliendo alcune riflessioni su questo tema su Medium. Se hai tempo mi farebbe piacere tu le leggessi. Se ne hai voglia ti sarei grato di un commento. https://medium.com/@mfbenini
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Non avevo mai letto una descrizione della Speranza così tanto vicina al mio modo di pensarla e sentirla. E’ laborioso e complicato raccontare e definire sentimenti astratti tu l’ho hai fatto in modo esemplare. Bel post.
Buona giornata
Giusy
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