
omnivore
Il magico realismo di Miranda July.
“At the Ethiopian restaurant I requested a fork. They explained that I had to use my hands, so I asked for it to go, got a fork at Starbucks, and sat in my car. But my throat wouldn’t accept even this very soft meal. I put it on the curb for a homeless person. An Ethiopian homeless person would be especially delighted. What a heartbreaking thought, encountering your native food in this way”.
Per chi conosce Miranda July come regista (“Me and You and Everyone We Know“, “The Future“) o per i suoi progetti che uniscono in modo seducente arte e tecnologia (tra i più recenti il corto e l’applicazione per iPhone “Somebodyapp” realizzati per il Miu Miu Women’s Tales), “The First Bad Man” può sembrare un romanzo volontariamente eccentrico.
Scritto in prima persona, “The First Bad Man” è interamente filtrato dall’occhio e dal pensiero di Cheryl, una donna di mezza età. Vive da sola, usa un solo set di piatti e ha messo a punto un sistema “smoother living” di pulizia della casa: “after days and days alone it gets silky to the point where I can’t even feel myself anymore”. Cheryl ha un “hystericus globus”, un duro nodo in gola che le impedisce di piangere. Senza figli, vede un neonato immaginario di nome Kubelko Bondy, e l’amore per Philip, amico dei suoi datori di lavoro notevolmente più anziano di lei.
In realtà, Cheryl e Philip si incontrano solo a qualche riunione di lavoro, hanno brevi conversazioni formali e si sentono al telefono per stabilire alcuni dettagli pratici del centro. Ma dietro a quegli scambi fuggenti, Cheryl vede la promessa di un’intesa “matura”, profonda e a lungo termine, destinata a materializzarsi in maniera piuttosto imminente – anche quando lui comincia a mandarle dei messaggini in cui descrive il suo desiderio sessuale per una sedicenne.
Le routine pratiche e mentali cui Cheryl vengono turbate quando i suoi capi le chiedono di ospitare per qualche tempo la loro figlia Clee, una ventenne bionda, abbronzata e rotonda, con i piedi che puzzano in modo pazzesco, e che – perennemente parcheggiata sul divano a guardare la tv infagottata in un sacco a pelo di nylon rosso – dimostra un disprezzo totale per i rituali della sua nuova padrona di casa.
La tensione tra le due donne è tale che, dopo aver trascorso settimane a osservarsi in cagnesco, disseminando qua e là piccoli gesti di provocazione reciproca, si passa allo scontro fisico: Clee e Cheryl iniziano a picchiarsi selvaggiamente. Non si tratta di baruffe casuali, ma di «combattimenti» che somigliano a vere coreografie e che sono elaborati come messe in scena di performance art; o come gli agguati con cui il maggiordomo cinese accoglieva a casa l’ispettore Clouseau/Peter Sellers, nel film “La pantera rosa”.
Parallelamente a questi violenti contatti fisici, che lasciano Cheryl piena di lividi ma improvvisamente rinvigorita, all’erta, e più sicura di se stessa, la sessualità esibita, e allo stesso tempo inconsapevole di Clee manda in tilt anche il suo ordine mentale, che inizia a sperimentare fantasmagoriche fantasie erotiche di cui la sua ospite indesiderata e Philip sono i protagonisti. July rimane un’artista calcolatissima, che possiede l’assoluto controllo del suo progetto. E, ben presto, dalla furia dei pensieri di Cheryl e dall’ostilità indiferrente di Clee – sublimate nei loro combattimenti cerimoniali — emergono i sintomi di un’inattesa storia d’amore.
In tutta la sua esplosiva anticonvenzionalità, “The First Bad Man” è (anche) il ritratto di un’educazione sentimentale classica. In questo senso, il romanzo di pura fiction di July sviluppa delle assonanze con i valori, se non proprio con alcuni punti, in comune con “Not That Kind of Girl“, il libro autobiografico di Lena Dunham uscito in Italia lo scorso anno con il titolo “Non sono quel tipo di ragazza“, edito da Sperling & Kupfer (le due sono molto amiche e un’entusiasta endorsement di Dunham grazia la copertina di questo romanzo).
Il difficile percorso nel riconoscere e accettare se stesse, attraverso una nebbia di emozioni, insicurezze, umiliazioni e desiderio. È un percorso molto au courant, una forma iper-raffinata di letteratura del self help, con il quale l’uomo del titolo – e tutti gli uomini in generale – hanno poco a che vedere. E che porterà Cheryl tra le braccia non di Philip ma aggrappata alla mano minuscola di un neonato ostinato e fragilissimo che potrebbe, o meno, essere proprio Kubelko Bondy.
Alcuni degli oggetti presenti nel romanzo: un abito lungo con molti bottoni (135 dollari), un paio di shorts color caramella (56 dollari), un set di biancheria rosa molto trasparente (91 dollari), delle scarpe dai tacchi molto alti (113,50 dollari), una vecchia busta (51 dollari), un post-it (355 dollari), una lozione rosa (65 dollari), una banconota da un dollaro tagliata a metà (135 dollari)… Fotografati su fondo bianco come catalogo di abbigliamento basic americano tipo American Apparel, sono stati messi in vendita sul sito www.thefirstbadman.com e il ricavato verrà donato alla National Partnership for Women & Families.
Miranda July ha la rara capacità di definire con precisione i “problemi” delle persone, le loro eccentricità compulsive, le loro fragilità. Negli anni ha creato uno stile, un modo di esistere, che passa da un libro a una performance, da un film a un sito internet. E noi, un po’ alla volta abbiamo imparato ad amarla.
“The First Bad Man” su Amazon: http://amzn.to/1vOBK1w
I siti internet di Miranda July sono:
http://mirandajuly.com/
http://www.thefirstbadman.com/
Il suo Facebook è: https://twitter.com/miranda_july
Il suo Twitter é: https://www.facebook.com/julymiranda
Un’intervista sul libro rilasciata a Studio Q, CBC Television: http://youtu.be/L4N2QlZThMQ
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