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Disobedient Objects: il design della protesta globale.
“Because of my political beliefs and affiliation in the Black Panther Party, I have spent the last 35 years in solitary confinement”.
È una frase scritta da Kenny Zulu Whitmore in una lettera aperta ai visitatori di “Disobedient Objects“, una mostra appena terminata al Victoria & Albert Museum di Londra.
“Torture by any other name is still torture.”
La lettera, del 2014, è quasi insopportabile da leggere. Il testo di Whitmore è uno degli oggetti esposti che si riferiscono ad “Angola 3”, un gruppo di tre giovani detenuti neri, costretti in isolamento dal 1972 dopo aver aderito al Black Panther Party nel Louisiana State Penitentiary. Il loro scopo era denunciare le condizioni brutali e la segregazione razziale presenti nel penitenziario (conosciuto anche con il nome di “Angola”, in memoria della piantagione sul quale è stato costruito). Il caso di Angola 3 è una vergogna – ma è solo una delle moltissime lotte per la giustizia raccontate nell’esposizione. Robert Hillary King è stato rilasciato nel 2001, dopo 29 anni in isolamento. Herman Wallace è stato rilasciato due anni fa dopo 41 anni in isolamento, solo tre giorni prima di morire di cancro al fegato all’età di 71. Albert Woodfox e Whitmore sono ancora in isolamento. La lettera di Whitmore si conclude con: “Never surrender hope”.
Tra i diversi oggetti legati ad “Angola 3” c’è anche un ciondolo in acciaio cromato, realizzato nel 2008 da un altro prigioniero su richiesta di Wallace. È elegante, alla moda, ha un lettering grazioso. Ma si legge: “Fuck the Law”. C’è anche una poesia scritta da Wallace lo scorso anno: “The louder my voice the deeper they bury me”.
“Disobedient Objects”, curata da Catherine Flood e Gavin Grindon, è senz’altro una delle esposizioni più controverse e interessanti realizzate negli ultimi anni. Espone oggetti che hanno avuto un ruolo nei cambiamenti sociali e che continuano ad averlo – dalle teiere delle Suffragette del , alle “Trini dols” – bambole mascherate fatte dal movimento zapatista in Chiapas, ai badge anti-apartheid, alle maschere da gorilla indossate dalle Guerrilla Girls, art-attiviste che protestano contro il numero scandalosamente basso di artiste rappresentate nelle più importanti gallerie statunitensi. Ci sono banconote americane e britanniche timbrate con statistiche: nel 2011, l’uno per cento della popolazione del Regno Unito ha guadagnato 922.433 £, mentre il 90 per cento ha guadagnato 12,933 £ l’anno. La pratica illegale di stampare banconote contenenti messaggi sovversivi è iniziata nel nel 1990 in Birmania, dove il volto di Aung San Suu Kyi è stato sovraimpresso alla moneta locale (il Kyat birmano) in seguito al suo arresto dopo che stata democraticamente eletta.
Lontano da un ritorno nostalgico alle rivolte degli anni ’60, “Disobedient Objects”, raccoglie e classifica una enorme quantità di azioni, oggetti e appelli di resistenza all’autorità realizzati negli ultimi 30 anni. John Beiler, dottorando della Pennsylvania State University, in collaborazione con Josh Stevens, ha realizzato un mappa interattiva, presente nell’esposizione, che ci mostra, dal 1979, quanto sino cresciuti in tutto il mondo il numero di movimenti sociali di protesta.
L’abilità dei curatori è stata quella di riunire oggetti provenienti da esperienze eterogenee e da movimenti globali riuscendo a raccontare una storia appassionante e coerente delle lotte per i diritti umani. I rischi potevano essere quelli di realizzare una mostra dogmatica o superficiale o sterilmente critica verso le pratiche e le forme d’arte nate dall’attivismo. Al contrario il risultato è un antidoto all’autocompiacimento e all’autoreferenzialità del mondo dell’arte, al suo essere spesso fintamente partecipe ai problemi della società contemporanea. Risulta evidente che per i lavori esposti, la posta in gioco è totalmente diversa, trasgressiva nel senso più vero.
Basta guardare i bellissimi arpilleras, patchwork, collages di stoffe policrome, che ritraggono la vita quotidiana, diventati molto comuni in Cile dopo il 1973, quando la giunta militare di Augusto Pinochet ha rovesciato il governo democraticamente eletto di Salvator Allende. Le arpilleras sono, piccole opere, create con fine di fornire un reddito alle donne quando i loro mariti venivano imprigionati dal regime. Lavori – realizzati anche altri paesi come l’Irlanda – che rappresentano una forma di liberazione emotiva e di partecipazione politica per persone la cui vita è stata segnata da perdite personali e da sconvolgimenti sociali.
“¿Donde Están Nuestros Hijos?” ( Dove sono i nostri figli? ), realizzata nel 1979 è un’opera dolorosa da guardare. L’artista anonima era una delle tante madri i cui figli oppositori del regime di Pinochet, sono stati torturati e uccisi. Un tessuto colorato cucito a quello che sembra essere stato un sacco per la farina riciclato, che racconta una storia di terribili sofferenze. Tre colombe bianche, simbolo di pace, scendono da un cielo dal colore blu brillante. Nel centro ci sono quelle che sembrano delle mani o dei mani o piedi, ammanettati. Una madre piange inginocchiata. Ai lati della tela ci sono due occhi neri spalancati con delle pupille rosse demoniache. Gli occhi ci fissano. Sul retro dell’opera c’è una tasca segreta, che contiene una nota manoscritta: “Questo lavoro rappresenta i nostri bambini… sotto l’occhio della DINA (servizio di polizia politica)”.
Le arpillera, valutate come forma d’arte spontanea e popolare, sono riuscite ad eludere la censura del regime.
Quella dei Disobedient Object è un’arte fatta da persone escluse dalla cultura d’élite, realizzata spesso con risorse scarse, in contesti oppressivi. Nelle parole dei curatori, è “out-design”.
L’umorismo sovversivo, il paradosso, l’assurdo, sono tecniche impiegate come forme di protesta. Nel 1993 la Barbie Liberation Organization, ha realizzato un finto notiziario in cui Barbie si ribella e rivolgendosi alla telecamera dice: “Siamo un gruppo internazionale di giocattoli per bambini che sono in rivolta contro le aziende che ci hanno creato”. L’organizzazione è stata promossa da “un gruppo di genitori preoccupati” per protestare contro gli stereotipi di genere nei giocattoli. Una delle azioni della Barbie Liberation Organization gli attivisti hanno acquistato stock di Barbie e di GI Joe, scambiato i dispositivi vocali per poi restituirli ai negozi . Jessica bimba di 10 anni, di Albany, New York, viene intervistata e descrive la sua esperienza dopo l’acquisto di una Barbie hackerata: “diceva frasi violente sulla guerra, piuttosto che, io voglio andare a fare shopping!” Lontano dall’essere turbata dall’accaduto aveva trovato la cosa “divertente”.
In mostra sono presenti una molteplicità di oggetti suddivisi in cinque sezioni. Quattro legate a differenti strategie di cambiamento sociale: “Direct Action”, “Speaking Out”, “Making Worlds Solidarity” e la quinta, “A Multitude of Struggles”, che propone alcuni casi di studio. Esempi di oggetti esposti sono: una fotografia dello sciopero generale a Barcellona nel 2012 che mostra dei sampietrini gonfiabili giganti; la fotografia di un giovane ragazzo palestinese durante la seconda Intifada nel 2000 che sta lanciando un sasso verso camion di militari e in parallelo una fionda palestinese, realizzata con la linguetta della scarpa di un bambino; “Tlki Love Truck”, un veicolo personalizzato decorato nel 2007, dall’‘artigiana militante’ britannica Carrie Reichardt per protestare contro la pena di morte in Texas.
Lo scontro con le istituzioni non è solo guerriglia, ma una vera messa in scena dove forme, abiti, tecniche di movimento, suoni, colori rappresentano il conflitto. I curatori scrivono: “la disobbedienza pacifica funziona solo quando i manifestanti raggiungono una sufficiente visibilità culturale e il governo riconosce il loro diritto di protesta. Senza questo, le lotte per la libertà a volte possono assumere altre forme”.
I Disobedient Object spesso sono oggetti di uso quotidiano trasformati per un nuovi scopi. Un nuovo modo di protestare e nuove forme di disobbedienza al potere. In mostra, nel catalogo (144 pagine edito da Victoria & Albert Museum) e sul sito internet, alcune schede mostrano come realizzare in proprio oggetti disobbedienti: maschere antigas con bottiglie di plastica – come quelle impiegate nel 2013 al Gezi Park di Istanbul; o dei “book shield” (libri scudo) – grandi rettangoli di cartone che raffigurano la copertina libri famosi. Un book shield con copertina di “To Kill a Mockingbird” (“Il buio oltre la siepe“) di Harper Lee – nell’edizione Penguin del 1962 – è stato impiegato dai manifestanti per combattere la chiusura delle biblioteche pubbliche di New York. Per la polizia, colpire gli scudi diventava letteralmente un attacco all’apprendimento stesso. La chiusura della Biblioteca di Mid-Manhattan è stata recentemente annullata, e l’impiego del book shield è stato determinante.
Nel romanzo di Lee, Atticus Finch è un avvocato bianco difende un uomo di colore che è ingiustamente accusato di stupro in razzista nel profondo sud. Una frase di Finch è stata inserita nella mostra, e penso che la sintetizzi a meraviglia:
“I wanted you to see what real courage is, instead of getting the idea that courage is a man with a gun in his hand. It’s when you know you’re licked before you begin, but you begin anyway and see it through no matter what”. (“Volevo che tu imparassi una cosa: volevo che tu vedessi che cosa è il vero coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo con il fucile in mano. Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare fino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta si vince”).
Sito dell’esposizione: http://www.vam.ac.uk/content/exhibitions/disobedient-objects/
Intervista a Catherine Flood, co curatrice dell’esposizione: http://bit.ly/1zxKxWc
“Spreading Political Messages Using Coins and Bank Notes”. Un articolo di Catherine Flood e Gavin Grindon su “Slate”: http://slate.me/1EZWpEU
Servizio sull’esposizione a cura di TeleSUR: http://youtu.be/G9CNGNcbblw
Catalogo su Amazon: http://amzn.to/1E8tu4C
How-to Guide. Download delle schede: http://bit.ly/1zRuaVu
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