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The Urban Cookbook. Ricette creative per la Graffiti Generation.
“Food unites people the world over: we all have to eat, no matter what rule we live, work and play by”.
Il concept di “The Urban Cookbook. Creative Recipes for the Graffiti Generation” (Thames & Hudson) è abbastanza semplice, King Adz visita cinque città internazionali (New York, Parigi, Berlino, Amsterdam e Londra), intervista 25 leggende delle “street culture” locali, scopre il luoghi dove vivono e lavorano e seleziona 50 ricette che rappresentano gusti e cultura di ogni posto. In astratto, l’idea è forte. In realtà, la soggettività delle scelte finisce col diventare un ostacolo al suo potenziale.
King Adz è lo pseudonimo di Adam Stone. Inglese cresciuto nella periferia di Londra, pubblicitario, graphic designer, regista, scrittore (oltre a “The Urban Cookbook” ha pubblicato “Street Knowledge”, “The Stuff You Can’t Bottle: Advertising for the Global Youth Market”, “My Mzansi Heart”).
Il primo capitolo su New York ci da un’idea del progetto di “The Urban Cookbook”. Inizia con un breve riassunto della storia dell’hip-hop e Adz sceglie di descrivere due quartieri della città – Lower East Side e Coney Island, escludendo zone come Arthur Avenue, nel Bronx, che è riuscita a mantenere un’identità più “reale”, preservata dalla gentrification. Anche la scelta degli intervistati non sempre rappresenta una buona sezione trasversale delle urban culture di New York. C’è Boogie, un fotografo serbo di origini che documenta gli aspetti più oscuri della cultura di strada, Rodney Smith di Shut tra le più importanti società di skateboard della città, Marc e Sara Schiller di Wooster Collective. Se a questi aggiungiamo un artista e designer di giocattoli autore di figure come Dunny e Munny progettati per Kidrobot (Tristan Eaton), un direttore creativo e designer (Jon Setzen) riescono ad emergere una serie di voci forti. King Adz inserisce anche un breve resoconto (una ‘Hit List’) di alcuni shop e caffè, che comprende molti dei soliti posti noti (aNYthing, Frank’s Chop Shop, Shake Shack, ecc).
La scena e il suo punto di vista sulla città sono piuttosto chiari, ma se iniziamo a parlare del cibo, tutto diventa più confuso. Una ricetta la “Rasjad’s Perfetct Steak” (gli Yank amano bistecca) proviene da uno zio del Sud Africa. Due ricette a base di pasta (“Penne in Vodka Suace” e “Meatballs and Spaghetti”) sembrano uscire direttamente da un film gangster più che essere indicativi di una cucina creativa.
“Chilli con Carne”, non è esattamente la fotografia della cucina underground di New York. Se prendete questo capitolo come un’istantanea del libro, allora capirete come entra in gioco il mio discorso sulla soggettività. E se conoscete New York o avete qualche amico nato li che vi può fare da guida, vi sarà subito chiaro che è difficile identificarsi con questo modo di rappresentare la città.
Adz scrive una definizione piuttosto rigorosa di cibo di strada.
“Lo street food non è solo ciò che viene cucinato in BBQ, grigliate o braai, in caffè, trattorie, bar o chippy (negozio che vende fish and chip), in chioschi, food truck e food van, non è solo da asporto, da passeggio, soprattutto deve essere buono, etnicamente diversificato, fresco, non necessariamente ‘fast’ o ‘junk“.
In breve, non è ’haute cuisine’. La definizione funziona. Si parla cucina vernacolare, di stili e sapori creati dalla mescolanza di culture che si sono sviluppate negli ambienti urbani. King Adz sa di cosa parla.
Si è formato, per un breve periodo come chef, e questo gli da una certa credibilità. Tuttavia, la sua passione per il cibo non riesce a farlo immergere in profondità nella storia e nella cultura dei luoghi. Come racconto delle street culture alimentari, “The Urban Cook Book” non convince.
Come indicatore della varietà e la profondità della cultura urbana però il libro funziona. La struttura dei capitoli è divisa in tre parti – un’introduzione per ogni città, le interviste, e le ricette. Con le interviste (senz’altro la parte più forte) Adz ci offre una interessante gamma di sfumature sulle urban culture locali: Elisabeth Arkhipoff, DjCam, Pleix, JR, Invader per Parigi; Martin Eberle, eBoy, !K7 Records, Rinzen, Akim Walta per Berlino; Miss Blackbirds, Erik Kessel, Nina Köll, Dj Lennox, Helmut Smits per Amsterdam; Anne-Fay Townsend, D*Face, Jonathan Olley, Skinnyman, Steak Zombies per Londra.
Le introduzioni sono sintetiche – un paio di pagine suddivise in brevi capitoli che raccontano i luoghi e le culture metropolitane. Infine, le ricette esprimono un interesse per il cibo di strada, senza un interesse reale per una vera e propria avventura nel cibo.
Il punto debole del libro di Adz, è che purtroppo non riesce a far entrare il cibo (i gusti, gli ingredienti, le storie, le tradizioni, le persone) nella conversazioni sulle “street culture”. Purtroppo, per quelli che come noi hanno un forte interesse per il tema, non c’è una ricerca di come lo spazio urbano multietnico attraversa la cucina.
King Adz ci regala una visione. Ferma. Concisa. Lo sforzo merita un applauso. Ma genera anche domande su come sarebbe stato (o come potrebbe essere) un progetto che esplori le connessioni tra arte e cibo di strada.
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