omnivore
Africa Digital Remix.
Share, click, repost, send. Quali sono le abitudini quotidiane degli africani che condividono una parte della loro vita on-line, di centinaia di migliaia di persone che mettono in rete luoghi, storie e progetti fino a poco tempo fa inaccessibili?
Dal 2000 i grandi centri urbani dell’Africa si sono rapidamente digitalizzati: gli investimenti in banda larga per la telefonia, i cavi in fibra ottica, e una maggiore disponibilità di alimentatori efficienti, hanno permesso a milioni di persone in tutto il continente di andare online. In tutte le ricerche, questi fattori uniti al calo dei costi di smartphone e tablet, confermano il ‘passaggio al digitale’ dell’Africa. Ma al di la di una maggiore diffusione di infrastrutture e dispositivi, a parte rari casi, come la mostra “Post African Futures”, curata da Tegan Bristow per la Goodman Gallery di Johannesburg (aperta sino al 21 giugno 2015) e la piattaforma online “African Digital Art Network”, curata da un collettivo di giovani autori e ideata da Jepchumba, un’artista del Kenia con un Master in Digital Media, sono ancora poche le esposizioni, le ricerche e le pubblicazioni che provano a tracciare una mappa della cultura creativa e dell’innovazione digitale in Africa.
Nel 2013, ha cercato di fare il punto la rivista francese MCD pubblicando un numero monografico: “Digitale Afrique – Creation Numerique et innovation Technologique” curato da Karen Demineu – figura nota nella scena delle arti digitali di Dakar in Senegal – realizzando una prima cartografia delle arti digitali e delle reti di innovazione in Africa.
L’elemento più evidente di questa mappatura è che tutte le organizzazioni citate sono istituzioni indipendenti, che poco o nulla hanno a che fare con lo Stato e che sono per la maggior parte iniziative autogestite e autoprodotte da artisti.
Karen Demineur, circoscrive sotto la stessa matrice esperienze decisamente eterogenee – dal boom dell’IT, alle prime esperienze di Net Art, dai lab per geeks e i fablabbers, alle pratiche di artisti affermati che operano nel contesto più istituzionale di gallerie e musei internazionali – e se da un lato questa scelta rende difficile una lettura ‘critica’ dei percorsi di ricerca, dall’altro rende evidente che il cambiamento in corso è strettamente legato all’attivismo sui territori locali, all’impegno e al manifesto desiderio d’indipendenza degli artisti di nuova generazione. Buona parte di questi artisti infatti, ha deciso di sviluppare il proprio lavoro in Africa e molti di quelli che negli anni precedenti hanno avuto esperienze di studio o di residenze all’estero hanno deciso di far ritorno nelle città d’origine, provando a cavalcare il processo di cambiamento. Si tratta della generazione di ventenni e di trentenni che sta attivamente cooperando con spazi per l’arte contemporanea come il CCA Lagos (Nigeria), Doualart di Duala (Camerun), Ker Thiossane (Dakar, Senegal) e Darb Center (Cairo).
L’attività di questi centri, portata avanti anche grazie al sostegno economico della cooperazione e allo sviluppo di alcune istituzioni europee (dalle olandesi Prince Claus ed Arts Colaboratory al Goethe Institut o l’Institut Français), si è per lo più orientata in maniera costante e capillare all’organizzazione di workshop e residenze di formazione, con l’intento di favorire la costruzione di relazioni tra artisti e operatori culturali africani. Un panafricanismo che ormai ha poco a che fare con le ideologie e i processi di decolonizzazione del XX secolo, ma che piuttosto si sta sviluppando come un’infrastruttura necessaria per costruire una maggiore consapevolezza del continente dall’interno. Infatti, se per decenni l’Africa è stata più facile da percorrere e percepire dall’esterno, gli sviluppi economici degli ultimi anni hanno favorito una migliore mobilità interna. La costruzione di reti, avviata spesso durante eventi organizzati in Europa, si veda ad esempio l’“Incubator for a Pan-African Roaming Biennial”, (progetto avviato da Bassam El Baroni e Jeremy Beaudry da Alessandria Forum Contemporary Art per Manifesta 8) si è così trasformata in un comunità alla ricerca e in preziose occasioni di cooperazione.
“Digitale Afrique” propone uno sguardo su questa comunità che, pur con evidenti differenze culturali, linguistiche, sociologiche ed economiche, sta mettendo in atto un importante cambiamento culturale. A partire dai primi esempi sudafricani di arte in rete, fino alle esperienze più recenti di festival, biennali e centri per l’arte.
Riappropriazione, telefonia, connettività mobile, autorappresentazione e autonarrazione sono forse gli elementi trasversali agli artisti principali presenti in “Digitale Afrique”, che comprende lavori di artisti come Hassan Khan con il progetto 100 copies, James Webb e Jim Chuchu. Ma anche, processualità, sperimentazione e cooperazione collettiva ed orizzontale sono elementi altrettanto comuni di spazi e storie individuali diverse e geograficamente lontane (da Cape Town a Kinshasa, da Dakar a Nairobi, da Lagos a Il Cairo).
Una cosa è certa, l’era dell’informazione digitale ha smontato quello che pensavamo di sapere sull’Africa, offrendo nuove storie e nuove rappresentazioni visive, dai reportage realizzati con Vine dal capo corrispondente di Channel 4 News Alex Thomson, nelle regioni colpite da Ebola; al “The African Fabbers Projec”, laboratorio open-source itinerante promosso dall’Urban FabLab di Napoli, sino ai team di volontari che documentano con video online le proteste nelle regioni africane, come il magnifico progetto di Chris Dada e Funmi Iyanda, ChopCassava.
Mentre l’arena digitale africana si espande ad un ritmo vertiginoso, un gruppo di giovani autori africani prova a esplorare il passato del paese, utilizzando immagini etnografiche spesso recuperate on-line, remixandole per creare nuove narrazioni critiche. Siti web come il “Nigerian Nostalgia Project” sono diventate risorse online estremamente popolari tra questi ‘digital collagists’, serbatoi indispensabili per setacciare materiali storici: fotografie, video, clip audio e grafica. Vediamo il lavoro di alcuni di loro.
Folasade Adeoso.
Adeoso è una modella e un musa per blog di moda e per fotografi come Kwesi Abbensetts e Barron Claiborne, ma è anche nota per i suoi collage digitali, un mix di immagini tratte da archivi storici e di immagini contemporanee.
“La ricerca è la chiave”, dice Adeoso. “Spendo quantità infinita di tempo alla ricerca di vecchie scansioni e alla lettura di articoli online.”
“Soprattutto penso continuamente a che cosa posso fare per mettere qualcosa di diverso in queste immagini. Inizio a giocare con le linee, collegandole l’una all’altra. E poi a cancellare, riprovare, cancellare, riprovare”.
“Queste foto sono già arte in se, non faccio altro che aggiungere il mio tocco personale”.
Nomusa Makhubu.
Makhubu lavora su collage realizzati con immagini di donne africane realizzate in epoca coloniale, tra 1870 e il 1920, e proiettate sul suo corpo. Dice Makhubu:
“Questo progetto ha rappresentato diverse sfide: le fotografie stesse sono problematiche perché istituiscono una netta distinzione tra fotografo e soggetto fotografato, come: maschio/femmina, europea/africano, bianco/nero. La domanda che mi pongo è: come può essere possibile sovvertire la gerarchia e riscrivere le implicazioni politiche presenti nella fotografia?”.
Il collage è un metodo usato da Makhubu per ‘sfidare’ le immagini trovate, partendo da un “approccio politico diverso” e da un “confronto tra i sistemi di potere presenti nelle fotografie”.
Alexander Ikhide.
Dice Ikhide:
“Per un giovane artista, il collage digitale è un modo per creare una nuova estetica rielaborando le rappresentazioni del passato per creare un contesto per il presente e per il futuro”,
“Come africano, e come artista, per me è importante creare nuove rappresentazioni che rendano esplicita l’influenza del passato, ma siano anche una ricerca indirizzata al futuro”.
Nkiruka Oparah.
Dice Oparah:
“Online, il mondo intero si apre. Sempre più persone usano e hanno accesso a immagini sociali, culturali e personali“. “Il modo di lavorare è seguire il flusso di Internet, accompagnare la sua infinita incompletezza che si mette in relazione con l’identità africana in evoluzione”.
Oparah trova le sue immagini in una varietà di modi, spesso utilizzando Google, Tumblr, poi mischia sue fotografie a ritagli di giornale e a frame di film o di video.
Il numero di MCD “Digitale Afrique – Creation Numerique et innovation Technologique” curato da Karen Demineur e scaricabile gratuitamente in formato pdf: http://www.digitalmcd.com/pdf-gratuits/
Il sito internet della mostra “Post African Futures” curata da Tegan Bristow per la Goodman Gallery: http://www.goodman-gallery.com/exhibitions/560
Il sito internet di Folasade Adeoso: http://lovefola.com/artbyfola/
Instagram: https://instagram.com/lovefola
Tumblr: http://allthingsfolasade.tumblr.com/
Twitter: @___LoveFola
“Interview: Folasade Adeoso Talks Digital Art, Destiny’s Child & Tumblr”: http://bit.ly/1BrJxVM
“The Talented Tenth Interview: Folasade Adeoso”: http://www.thtlntdtnth.com/interviews-folasade-adeoso/
Il sito internet di Nomusa Makhubu: http://www.erdmanncontemporary.co.za/artists/nomusa-makhubu/
Facebook: http://on.fb.me/1EAts09
Twitter: @ErdmannGallery
“Featured: Nomusa Makhubu | The contemporary politics of identity, tradition and culture”: http://bit.ly/1G3qCIg
“A Disturbing Memory”: http://bit.ly/1d20LD7
Il sito internet di Alexander Ikhide: https://www.behance.net/alexander_ahonsi93
Facebook: http://on.fb.me/1d1ZBrg
Instagram: https://instagram.com/xxi_lexistential/
Il sito internet di Nkiruka Oparah: http://jnkiruka.com/
Tumblr: http://freetosetfree.tumblr.com
“Feature Artist: Dicital Collagist Nkiruka Oparah” su African Digital Art: http://bit.ly/1GH03Hu
“Meet the Curators: Jepchumba on Digital Art at the Design Indaba Expo”: http://bit.ly/1J5nbkN
Discussione