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Screening Sex.

Nel 1959 il “Production Code”, detto anche “Codice Hays” – una serie di linee guida che per molti decenni hanno governato e limitato la produzione del cinema negli USA introdotte nel 1934 da Will H. Hays – crolla. Un uomo e una donna inquadrati all’altezza delle spalle si abbracciano in un valzer ‘danzato’ contro la parete della cabina privata di un treno. Le loro effusioni intrecciano parole sussurrate per non lasciarsi andare in “baci eccessivi e lascivi” proibiti da regole opprimenti. Lui (Cary Grant) sposta la bocca sul collo della donna (Eva Marie Saint), mentre il volto di lei mostra un’estasi che sembra eccessiva rispetto alle carezze ricevute. L’interminabile scena del bacio (2’45”), che appare come una sfida al Codice, è interrotta dall’irrompere improvviso del suono di un campanello, quasi a significare il raggiungimento di un limite nel campo del visibile che non può essere oltrepassato; un taglio che blocca il desiderio erotico dello spettatore di “North by Northwest” di Alfred Hitchcock.

 “North by Northwest” on YouTube.

Stéphane Mesnildot nel libro “La mort aux trousses” (Cahiers du Cinema 2008) ha avanzato una straordinaria intuizione: la scena erotica ha effettivamente avuto luogo davanti ai nostri occhi, ma considerato il divieto del “Codice Hays” di mostrare gli attori in posizione orizzontale, la scena è stata semplicemente ruotata in verticale. Immaginare questo cambiamento di piano, “è stato sufficiente a far loro perdere testa”, scrive Mesnildot, spiegando in modo affascinante l’improvviso stato di agitazione al limite della spasmofilia che s’impadronisce di Eva Marie Saint.

978-0-8223-4285-4-frontcoverPoco meno di dieci anni dopo, Hitchcock non avrebbe mai dovuto girare la scena in questo modo. Nel 1968, la nudità e il godimento lascivo di Jane Fonda impregnavano ogni fotogramma di “Barbarella: Queen of the Galaxy”, il film di Roger Vadim. “Barbarella” è uno dei film citati da Linda Williams in “Screening Sex” (Duke University Press Books 2008), un testo fondamentale per capire la storia della rappresentazione della sessualità nel cinema americano, una affascinante analisi teorica sull’“invenzione di nuove zone erogene nel cinema contemporaneo”.
Negli anni della rivoluzione sessuale, un altro film diretto nel 1967, prova a mettere a fuoco la tensione che si crea nelle immagini mostrando e occultando, modulando il rapporto tra la luce e l’oscurità. È “The Graduate” (“Il laureato”) di Mike Nichols. Ma in questo caso le zone d’ombra del film non contengono ancora ciò che il regista nascondendo desiderava rivelare – i giochi amorosi di Anne Bancroft e Dustin Hoffman – e soprattutto non riescono a solleticare il voyeurismo degli spettatori. È proprio a Jane Fonda,  la figura iconica di “Barbarella”, o di film come  “Klute” (“Una squillo per l’ispettore Klute”) di Alan Pakula (1971) o “Coming Home” (“Tornando a casa”) di Hall Ashby (1978) che la Williams dedica “Make Love, Not War”, uno dei capitoli più interessanti del libro. Scrive la Williams:

“Tra fine del 1960 e i primi anni ’70, quando il cinema commerciale iniziava a rappresentare la conoscenza carnale e Hollywood elaborava nuovi tropi per “andare fino in fondo”, l’orgasmo femminile era ancora trascurato o assimilato a quello dell’uomo. Probabilmente i diversi ritmi e le diverse temporalità del piacere di una donna non erano stati semplicemente riconosciuti. La domanda è: come ha fatto ad arrivare sugli schermi americani una diversa forma di conoscenza? La risposta può sembrare tortuosa, ma dimostra di essere indissolubilmente legata al contesto della guerra del Vietnam e alle teorie emergenti della sessuologia”.

Jane Fonda, la “Hanoi Jane” dell’attivismo di protesta pacifista schierata contro la guerra del Vietnam, la ragazza del “make love, not war,”, ma anche la regina dell’aerobica femminile home video, (la stessa tecnologia che avrebbe portato negli anni ’80 il cinema hard-core nelle case americane), “è stata la prima attrice nel cinema tradizionale a incarnare personaggi femminili interessati al proprio orgasmo”. Scrive ancora la Williams:

“È avendo sullo sfondo gli indici di una rivoluzione sessuale e di una rivoluzione femminista discussi in precedenza – un attivismo contro la guerra altamente sessualizzato, le nuove teorie della sessuologia sulla causa dell’orgasmo femminile, un’ulteriore revisione femminista di questi discorsi, per non parlare della comparsa di atti sessuali filmati come artefatti di piacere sessuale, conoscenza e potere – che gli orgasmi della Fonda assumono un significato”.

 “Barbarella Opening Sequence” on YouTube.

Linda Williams , insegnante di Film, Media e Retorica presso la University of California a Berkeley, è un pioniere nell’invenzione di un pensiero e un discorso complesso sulla pornografia – i suoi primi testi, “Hard Core: Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”” (University of California Press 1989) e “Porn Studies” (Duke University Press, 2004) -, sono un affascinante laboratorio denso di domande, politiche, sociali e soprattutto estetiche.
Il lavoro della Williams è vicino a quello di altri autori come Judith Butler, “Gender Trouble”, Routledge 1990 (“Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità”, Laterza 2003) o a quello di Eva Kosofsky Sedgwick che con “Epistemology of the Closet”, University of California Press 1990 (“Stanze Private”, Carrocci 2011), che ha realizzato uno degli studi di riferimento sulla “queer theory”, e a quello di molti ricercatori americani che hanno lavorato sulla sessualità nella tradizione di Michel Foucault.
Linda Williams ha tenuto il suo primo corso sulla pornografia nel 1994, pochi anni dopo la pubblicazione del suo primo libro “Hard Core”. Nel corso degli anni, con i suoi allievi, ha lavorato su tutti i campi e le tipologie del genere porno: storico, contemporaneo, classico, underground; eterosessuale, gay, lesbico, sadomaso, bisessuale, fetish, interrazziale, contribuendo a dare una prospettiva accademica eccentrica; il porno non è più (non è solo) come un ‘problema sociale’ (da combattere) ma anche (e soprattutto) come una ‘pratica culturale’ (da comprendere).
Diversi sono stati i risultati di un simile approccio: il passaggio dall’idea di un’unica pornografia alla constatazione dell’esistenza di più pornografie e alla necessità di definirne una retorica plurale; la messa a fuoco di una diverso rapporto tra il pornografico, l’erotico e l’osceno, legato a una dialettica che la Williams definisce come una relazione tra off/scene e on/scene in cui la pornografia porta sulla scena pubblica contenuti ritenuti in precedenza non rappresentabili; la dimensione creativa che certi topoi pornografici possono assumere nelle dinamiche del desiderio; e la descrizione della sfaccettata espansione dell’immaginario porno nella produzione culturale contemporanea, come nel cosiddetto porno d’autore, frutto delle sperimentazioni di registi che operano nel circuito ‘tradizionale’ del cinema, ad esempio Catherine Breillat con “Romance X” (1999) e “Anatomie de l’enfer” (2004),  Michael Winterbottom con “9 Songs” (2004), Steve McQueen con “Shame” (2011) e Lars von Trier con “Nymphomaniac Vol. I e II” (2014). O come il ‘porno femminile’ di autrici come Erika LustAnna SprinkleLisbeth LynghoftJessica NilssonMia Engberg o in Italia, come il gruppo delle registe de “Le ragazze del porno“.
In modo particolare, la filmaker indipendente svedese Erika Lust, laureata in Scienze Politiche con specializzazione in sessualità e femminismo all’Università di Lund, per il suo lavoro si dice direttamente influenzata dal lavoro della Williams. La Lust è autrice di progetti che rappresentano una nicchia alternativa, un territorio ancora in gran parte inesplorato del porno: di “XConfession”, un confessionale internet che da spazio alle fantasie sessuali delle persone, fantasie che la Lust seleziona e trasforma in cortometraggi erotici; di diversi libri sulla pornografia femminista: “Love Me Like You Hate Me“, “Erotic Bible to Europe“, “Lets Make A Porno” (tradotto in italiano con il titolo “Let’s Make a Porno: Guida Pratica per Filmare il Sesso“, disponibile per il download) e di “Good Porn: A Woman’s Guide” (“Per lei“); e di seminari come “It’s time for porn to change” conferenza al TEDx di Vienna.
Scrive la Lust, in apertura del primo capitolo di “Per Lei”:

“Attenzione! La nostra società tende ad ignorare il primo a consideralo qualcosa di marginale e oscuro, che non interferisce con gli altri aspetti della vita: E non è vero, bisogna stare attenti perché il porno non è solo porno, è un discorso, una maniera per parlare di sesso.
È un modo per vedere e capire il maschile e il femminile: Ma è un discorso e una teoria quasi al 100% maschile (e a volte anche maschilista), non ci sono praticamente voci femminili in quest’ambito, così come fino a poco tempo fa non c’erano voci femminili nella sfera della politica o nei consigli direttivi di imprese private. Credo che noi donne abbiamo il diritto di godere del cinema per adulti, e che dobbiamo rivendicare la nostra partecipazione al contenuto di questo discorso. Dobbiamo essere creatrici: sceneggiatrici, produttrici, registe…”.

 “It’s time for porn to change” from TEDx Talks on YouTube.

Tra i diversi libri scritti da Linda William “Screening Sex” è senza dubbio quello che ha un maggiore debito con l’eredità di Michel Foucault.
Nel 1976 Foucault, nella “Volontà di Sapere. Storia della sessualità: 1” (Feltrinelli 1978) , ha sottolineato che la sessualità è un territorio complesso e che non esiste una verità essenziale e un significato statico che gli può essere attribuito. Come si sperimentano o si esprimono i desideri sessuali dipende da un contesto storico e da un luogo. Foucault sostiene che non vi è un’identità di base che definisce la propria sessualità. Piuttosto, la costruzione dell’identità sessuale avviene nel dominio di una società specifica i cui discorsi egemonici definiscono le istituzioni sessuali, sociali, politiche e culturali, e vengono utilizzati per suddividere la sessualità in categorie e in atti sessuali normali, deviati o repressi.
Scrive Foucault:

“Il sesso quest’istanza che sembra dominarci, questo segreto che ci appare sottostante a tutto ciò che siamo, questo punto che ci affascina per ciò che manifesta per il senso che nasconde, al quale domandiamo di rivelarci ciò che siamo e di liberare ciò che ci definisce, il sesso non è probabilmente che un punto ideale, reso necessario dal dispositivo di sessualità e del suo funzionamento. Non bisogna immaginare un’istanza autonoma del senso che produrrebbe secondariamente gli effetti multiformi della sessualità lungo tutta la sua superficie di contatto con il potere. Il sesso è al contrario l’elemento più speculativo, più ideale e anche più interno in un dispositivo di sessualità che il potere organizza nella sua presa sui corpi, la loro materialità, le loro forze, le loro energie, le loro sensazioni, i loro piaceri”.

Nel corso della storia, ogni società è esistita spostando e ridefinendo i confini della sessualità, di ciò che viene consentito e di ciò che viene considerato come perversione.
Stephen Garton, professore di Storia nell’Università di Sidney in “Histories of Sexuality: Antiquity to Sexual Revolution” (Routledge 2004) ha sostenuto che a causa di questo continuo mutare di forma, è impossibile scrivere ‘la’ storia della sessualità. Tuttavia, ha sottolineato che è importante studiare la diversità della sessualità nel corso della storia. In modo simile, la Williams non si propone di scrivere una storia delle rappresentazioni del sesso, ma fa un’analisi dei diversi discorsi sulla sessualità prodotti, concentrando il suo interesse sulla storia delle immagini in movimento.
Secondo lei, il pubblico americano si è messo in relazione con le diverse espressioni della sessualità come un bambino di fronte alla scoperta del sesso: la scoperta arriva troppo presto o troppo tardi, in una forma vaga, rinviata, talvolta sfocata. Per spiegare questo passaggio fa rifermento al concetto di scena primaria elaborato da Sigmund Freud e riportato ne “L’uomo dei lupi” (Feltrinelli 2010). Si riferisce alla prima volta in cui un bambino assiste o percepisce un rapporto sessuale tra i genitori. Il bambino non riesce a comprendere cosa accade e definisce ciò che vede o sente come una scena violenta, angosciante (perché è tenuto fuori, defraudato del rapporto protettivo con la madre) ma al contempo si sente anche attratto ed eccitato dall’esperienza che sta vivendo.
L’autrice di “Screening Sex” è interessata a capire queste ‘proiezioni’ cosa rivelano e cosa nascondono e a questo proposito, sottolinea il duplice significato del termine ‘a schermo’: da un lato significa mettere a schermo il sesso rivelando le sue espressioni attraverso immagini esplicite; dall’altro, ‘schermare’ il sesso significa nascondere le sue rappresentazioni.
In questo processo è quindi fondamentale l’immaginazione di chi guarda:

“I film ci commuovono, spesso con forza. Il sesso nei film è particolarmente volatile: può dare una scossa, affascinare, disgustarci, annoiarci, istruirci, e stimolarci. Ci allontana dall’esperienza immediata, dallo sperimentare, dal toccare e dal sentire attraverso i nostri corpi, ma allo stesso tempo, permette a sensazioni e a sentimenti di entrare in questi stessi corpi”.

In molti punti, il libro di Linda Williams è un disvelamento: i problemi sollevati dal cinema pornografico risultano completamente rivitalizzati e appare chiaro come lo studio accademico della pornografia possa essere una leva intellettuale assolutamente liberatoria che ci permette di dare nuove prospettive, non solo alla rappresentazione della sessualità, ma anche politiche, sociali, razziali ed estetiche. La principale rivoluzione simbolica di “Screening Sex” (ma anche dei “Porn Studies”) può essere sintetizzata con: la storia del cinema porno è soprattutto una storia di democratizzazione della pornografia.

In altre parole, i film X, permettono l’accesso delle classi medie e popolari a una cultura della rappresentazione sessuale che per secoli è stata quasi esclusivamente riservata ai ricchi e a una élite di intellettuali. Un esempio storico lampante: la scoperta, in epoca vittoriana, di come è stato elaborato il concetto di pornografia a seguito del ritrovamento di affreschi a sfondo erotico sessuale a Pompei. La reazione “scientifica” è stata quella di nascondere le rappresentazioni al pubblico, limitandone la visione in alcune stanze private nel Gabinetto Segreto del Reale Museo Borbonico a una élite di studiosi, di storici dell’arte, di notabili, (tutti maschi), mentre tutto ciò che non poteva essere rimosso dal sito è stato coperto e transennato in modo da non corrompere la sensibilità delle donne, dei bambini e della classe operaia.
In qualche modo, la cultura pornografica popolare di oggi è la testimonianza del percorso compiuto dalla scoperta di quegli affreschi ‘indecenti’. E il cinema X contemporaneo racconta la storia della riappropriazione di quella cultura da parte da parte delle classi dominate e delle donne (a questo proposito in in “Porn Studies” è interessante il testo di Deborah Shamoon “Office Sluts and Rebel Flowers: The Pleasures of Japanese Pornographic Comics for Women” il capitolo dedicato agli ‘Shōjo manga‘ – o ‘Ero manga’ – e al sesso femminile nei manga giapponesi).

Nell’introduzione a “Porn Studies”, Linda Williams mette in parallelo la proliferazione della pornografia negli Stati Uniti (ma il discorso potrebbe essere valido per il mondo intero, visto che la pornografia fiorisce ovunque a gran velocità essendo il principale mercato di immaginario della globalizzazione) con il contenuto di alcune famose controversie, come il rapporto del procuratore Kenneth Starr sul caso Clinton-Lewinsky o quella del senatore Jesse Helms contro il “dirty photos” di Robert Mapplethorpe, due monumenti alla falsa moralità puritana che hanno finito per sostenere ciò che volevano bandire. La dimostrazione paradossale dei “Porn Studies” sta proprio in questo rovesciamento: si definisce “ob/scene” (quello che deve restare nascosto dalla “scena” della visione), ciò che in realtà è diventato “on/scene”, essendo parte del paesaggio della nostra vita. Sottolineando il passaggio in cui si compie l’opposizione ipocrita tra il “bene” dell’erotismo e il “male” della pornografia, Linda Williams definisce il film pornografico come, “una forma culturale che influenza la vita di una grande varietà di americani, che deve essere presa in considerazione quando valutiamo ciò che è e ciò che produce la nostra cultura”.

I libri di Linda Williams.
Hard Core: Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”” (University of California Press 1999).
Porn Studies” (Duke University 2004).
Screening Sex” (Duke University 2008)

I siti internet e contatti.
Linda Williams’s faculty page.
Mail: lwillie@berkeley.edu

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