
ma l'amor mio non muore
Per una nuova lingua del credere.
Sono sempre più convinto che l’esperienza di essere rifugiati – di dover vivere una vita senza patria – farà in modo che le persone mettano quell’esperienza, su carta, che ne facciano della musica, dei film, dell’arte e che la facciano entrare in una tradizione che in futuro informerà i modi del nostro pensiero.
Parlare di arte e di classe è una duplice battaglia tutta ancora da combattere. La prima consiste nel ripristinare la nozione di responsabilità e la seconda è riuscire a rendere disponibili, riuscire ad accedere agli strumenti e alle abilità della produzione artistica laddove essi sono negati alle persone.
A chi spetta il diritto di parlare alla radio? A chi spetta il diritto di fare film? O chi è in grado di esprimere la propria vita e le proprie esperienze?
Il punto è che il solco tra i più ricchi e i più poveri si sta rapidamente allargando, è una voragine che a un certo punto non potrà che inghiottirci. E anche se non ci sembra ancora esplicita, incominciamo a percepirla attraverso i racconti della paura, della paranoia, del terrore e questo sarà uno sviluppo che mi interesserà e mi affascinerà.
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