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Ballare l’incubo.
Sopra: Andrew Lester prova una maschera usata durante la scena dell’alimentazione forzata nel corso delle prove di “Titicut Follies: The Ballet”.
“In un testo truculento, succulento, Gordon Craig, un grande uomo di teatro inglese, suggerisce di sbarrare la strada all’intempestività del danzatore col suo corpo, imprigionarlo in un’”armatura leggera” che faccia da ostacolo allo straripamento dei gesti gratuiti, inutili, e che gli imponga di produrne soltanto la parte più essenziale”.
“La saggezza del danzatore”, Dominique Dupuy (Mimesis 2014)
“Il dipartimento carcerario ha molti talenti, come vedete, non faremo mai carriera, ma abbiamo la nostra filosofia: cantare, ballare e anche rischiare finché non ci butteranno fuori un anno o l’altro, finché non ci butteranno fuori un anno o l’altro!”.
“Titicut Follies”, Frederick Wiseman
La danza si è sempre ispirata, oltre che a fonti musicali, a fiabe, dipinti, racconti, miti, poemi e romanzi, e più in generale al linguaggio delle altre arti, ma non era mai successo che un documentario su una prigione di stato per criminali malati di mente diventasse l’idea per uno spettacolo.
Almeno sino ad oggi.
“Titicut Follies” è il primo documentario di Frederick Wiseman realizzato nel 1967 nel manicomio criminale del Massachusetts Correctional Institution di Bridgewater (Massachusetts). Va detto che è uno di quei film che ti fanno stare male.
La prima cosa ci si domanda mentre si sta guardando “Titicut Follies” è come sia stato possibile che i dirigenti dell’ospedale psichiatrico nel quale il film è ambientato abbiano permesso a Wiseman e John Marshall di girare liberamente certe scene. È talmente sconvolgente la realtà che ci viene mostrata che solo un delirio di onnipotenza avrebbe potuto far pensare a quei medici che quelle immagini non avrebbero portato a conseguenze. Lo capirono solo a riprese completate e a pochi giorni dalla première del film al New York Film Festival.
Il governo del Massachusetts provò a bloccarne la proiezione tirando in ballo questioni riguardanti la privacy dei pazienti, ma fu invano. Il film fece scalpore, e l’anno successivo un nuovo tentativo governativo per la censura e il ritiro del film andò a segno: “Titicut Follies” venne bandito dagli USA per 24 anni.
Solo nel 1991 il documentario potè uscire dalla prigione della censura americana.
Nel frattempo Frederick Wiseman era diventato uno dei più grandi documentaristi al mondo (di Wiseman ne ho parlato in “La vita segreta di Jackson Heights”).
Un estratto da “Titicut Follies”, Frederick Wiseman, 1967 on Vimeo.
“Titicut Follies” fa paura. Se vedere il delirio degli uomini può toccarci intimamente e umanamente, ciò che colpisce come un pugno allo stomaco è il comportamento delle istituzioni del manicomio: la freddezza, l’arroganza e la violenza con le quali i pazienti vengono trattati è letteralmente insopportabile.
Ai pazzi Wiseman cerca di restituire l’umanità che l’istituto toglie, così come vengono tolti i vestiti, mero accessorio che ai “ritardati” non deve servire.
Le perquisizioni, il dialogo tra uno psichiatra e un pedofilo, le immagini di un uomo che viene alimentato forzatamente, il piano sequenza con il quale viene seguito un uomo che, spogliato dagli infermieri, viene chiuso nudo in una cella d’isolamento sono difficili da guardare.
“Titicut Follies” potrebbe sembrare un tema improbabile per un lavoro di danza contemporanea ma non l’ha pensata in questo modo il coreografo newyorkese James Sewell ed è così che è nato “Titicut Follies: The Ballet”.
Sewell è il direttore artistico del James Sewell Ballet, una compagnia fondata nel 1993 con Sally Rousse a New York. James Sewell Ballet è un progetto in cui i due artisti hanno provato ad immaginare una compagnia di danza contemporanea che riuscisse ad unire l’eleganza del balletto classico, la libertà della danza moderna e lo spirito dell’avanspettacolo.
“Ora facciamo la sala d’attesa, e poi a seguire la perquisizione” dice James Sewell ad un gruppo di danzatori mentre Frederick Wiseman guarda le prove.

Il regista Fred Wiseman, a sinistra, seduto accanto a James Sewell mentre guardano le prove di “Titicut Follies: The Ballet”.

I danzatori Jadyn Reddy e Austin Lam improvvisano una scena di violenza durante le prove di “Titicut Follies.
In un filmato che mostra il dietro le quinte del progetto vediamo correre i ballerini tra le due scene mentre Lenny Pickett, compositore e sassofonista della band di “Saturday Night Live”, e autore delle musiche dello spettacolo, fa un fraseggio inquietante. Sewell li ferma per modificare alcuni passi della coreografia. Dice: “Penso che quando arriviamo all’estremità del cerchio, dobbiamo farlo un po’ più grande”.
Un estratto da “Titictut Follies: The Ballett”, James Sewell on Vimeo.
Wiseman, che ora ha 87 anni, è sempre stato affascinato dalla danza e dallo spettacolo.
I suoi documentari “Ballet” sull’American Ballet Theatre del 1995, “La Danse – Le Ballet de l’Opéra de Paris” del 2009 e “Crazy Horse” del 2011 ne sono la testimonianza concreta.
Dice Wiseman:
“La danza mi ha sempre affascinato ma sono stanco e nauseato di vedere balletti sui legami, o su foreste mitologiche di dieci secoli fa. Tra i balletti che ho visto anche di recente, pochissimi erano sul mondo contemporaneo. Così ho pensato perché non prendere un soggetto estremo – degli psicotici in una prigione per criminali – e verificare se qualcosa di simile a un balletto classico poteva essere fatto basandosi sul loro comportamento, i loro movimenti, i loro tic, le loro convulsioni e ossessioni”.
Il regista ha condiviso la sua idea con Jennifer Homans, critica e storica della danza che nel 2014 ha fondato il “The Center for Ballet and the Arts” della New York University.
Il centro è una specie di think tank per individuare nuove direzioni per il balletto, favorire la ricerca accademica il lavoro artistico e collegare la danza ad altri campi.
La Homans ha invitato Wiseman per un incontro con Sewell – che nel suo lavoro aveva già affrontato temi complessi come il carcere iracheno di Abu Ghraib.
Dice Wiseman:
“Jennifer mi ha invitato al Center for Ballet e mi ha presentato alcuni coreografi, tra cui James Sewell e visto che il suo lavoro mi piaceva molto qualche tempo dopo ho deciso di chiamarlo. Tradurre “Titicut” in un balletto – uno dei progetti più alto profilo del centro – è stata una sfida”.

Al centro Laurie Nielsen e altri danzatori del James Sewell Ballet in “Titicut Follies: The Ballet”.
“Let the drums roll out
Let the trumpet call
While the people shout
“Strike up the band””
Il film si apre con un coro di detenuti in camicia bianca e cravattino, immersi in un’amosfera cupa che cantano “Strike up the Band” di George Gershwin in uno spettacolo di varietà surreale. Anche Sewell ha preso questa scena come punto di partenza del balletto ma modificandone la struttura.
Nel film di Wiseman, la guardia in qualità di maestro di cerimonie sembrava avere “il complesso di Ed Sullivan” ha detto Sewell. Ed Sullivan è stato un noto conduttore americano di uno show televisivo domenicale durato 23 anni. Sullivan non era spiritoso, non aveva talenti particolari. Era schivo, goffo, impacciato, smemorato e muto ma in ogni caso era straordinariamente amato e seguito dal pubblico.
“Lui era uno uomo di teatro, aveva la sua compagnia teatrale. Noi siamo una compagnia di danza. Così ho sostituito quella figura alla Ed Sullivan con un personaggio alla Diaghilev; con un danzatore che ha il “complesso di Diaghilev”” (Sewell si riferisce a Sergei Pavlovich Diaghilev, organizzatore e direttore artistico di spettacoli di balletti, celebre soprattutto per aver fondato la compagnia dei Balletti russi – “Ballets Russes”).

Austin Lam (al centro dell’immagine) e altri danzatori del James Sewell Ballet.
Il coro distorto diventa un balletto distorto. Sewell ha detto di aver cercato di “decostruire la tecnica del balletto” in modo che, ad esempio, il “port de bras”, o il “portamento delle braccia” (qualsiasi movimento degli arti superiori nello spazio, in combinazioni codificate), non è mai allineato. Sewell afferma che per questo progetto ha cercato di rimanere “all’interno del balletto vernacolare” – si balla sulle punte, anche se con moderazione – ma in prevalenza “ci sono molti passi che si allontanano dalla tradizione classica”.
La danza è disseminata di riferimenti al balletto canonico. La scena di festa di compleanno si ispira all’”Adagio della Rosa” de “La bella addormentata” di Pëtr Il’ič Čajkovskij”. Un passo a due potrebbe provenire dal “Il lago dei cigni” e un fauno sembra tratto “Il pomeriggio di un fauno” di Vaslav Nijinsky. Per mettere in scena la perquisizione, Sewell si è ispirato a una delle scene di danza più celebri del tradizione classica: il “Regno delle Ombre” (o l’atto bianco) di Marius Petipa de “La Bayadère”, con l’ingresso di una linea di danzatrici vestite di bianco.
“La perquisizione”, ha detto il coreografo “è come l’ingresso delle ombre: l’ingresso nella scena uno per uno, per togliere la camicia e i pantaloni”. La musica di Lenny Pickett ispirata alla partitura di Ludwig Minkus per la “Bayadère” – ha note acidule, una valzer tra Tom Waits e Kurt Weill.
È stato Wiseman a chiedere al coreografo di allontanarsi dal documentario realizzato 50 anni prima: “Secondo me questo film – diversamente dai miei altri film – ha una traccia letterale e una astratta. Ma nella danza, la traccia astratta è più importante ed è quella che va seguita”.

Nelle due immagini: Shohei Iwahama e Jordan Lefton del James Sewell Ballet in “Titicut Follies: The Ballet”.
Nel 1967 quando è uscito “Titicut Follies” ha suscitato un grande scalpore. È stato vietato per anni da un tribunale del Massachusetts dopo che un giudice lo ha descritto come “un incubo di macabra oscenità” – una frase Wiseman fu tentato di impiegare per presentare il film.
Anche per “Titicut Follies: The Ballet” Wiseman ha chiesto al coreografo James Sewell un approccio alla follia più realistico rispetto a quello che si è visto in opere classiche come “Giselle” (al temine del primo atto Giselle, perdutamente innamorata, nella disperazione prende la spada di Albrecht per uccidersi, ma poi impazzisce e muore per il dolore tra gli sguardi inorriditi dei presenti e lo strazio della madre). Wiseman ha detto in proposito:
“L’ultima cosa che mi interessa è l’approvazione o disapprovazione degli psichiatri. Questo è un lavoro di danza, e davvero non mi interessa quello che qualsiasi psichiatra, assistente sociale o psicologo clinico pensa. Ovviamente, spero che piaccia. Ma si tratta di un lavoro immaginario”.
Sewell ha cercato di lavorare in questa direzione, restituire le emozioni del film attraverso la danza:
“Frederik ha lavorato con noi in studio circa sei settimane, qua e là. È stato il mio riscontro più importante. Eravamo d’accordo sull’idea di rispettarne l’arco del film ed estrarre delle scene che ne riflettessero l’essenza. Fred capiva subito quando qualcosa era troppo ovvio o, come diceva lui, didattico. Il suo feedback è stato utilissimo perché il mio istinto era quello di rendere tutto chiaro: invece l’astrazione era molto importante. Ho buttato via e sostituito parecchi numeri di ballo, l’ultimo nemmeno una settimana prima dell’opening. Tra le cose più difficili è stato introdurre nella grammatica del balletto la crudeltà e la violenza. In passato ho creato coreografie per soggetti ostici, come l’eutanasia e la tortura. Ma, in quei casi, la mia inclinazione era stata quella di sacrificare l’elemento specifico della danza. Qui però ho deciso di usare di più la tecnica del balletto, decostruendola per riadattarla alle emozioni e a certe scene di Titicut era proprio questo l’interrogativo ancora irrisolto quando ho detto sì a Frederik”.
E ancora:
“La fluidità della danza offriva l’opportunità di introdurre degli elementi psicologici che la pellicola non aveva potuto catturare. Ricordo che abbiamo discusso del rischio che i pazienti diventassero troppo simpatetici. E di come, al contempo, la compassione fosse un elemento necessario nel balletto. Non abbiamo fatto nessuno sforzo per riprodurre il film in senso letterale. Ci sono molte scene nel balletto che non sono nel film, e viceversa. Per me era importante evocare alcune delle idee e delle emozioni del film e vedere come tradurle in termini di danza”.
In sostanza ha detto Sewell, penso che Wiseman sia soddisfatto dell’esperimento anche se per me non è stato semplice restituire con altri mezzi la forza e le emozioni che il film ti sbatte in faccia:
“La gamma emotiva del film è enorme: si passa dal divertente, allo stano, al buffo, all’assurdo, sino al tragico, all’inguardabile, quasi all’orrorifico. Quando finisci di vedere il film, ti rimane attaccata una sensazione di essere passato attraverso una tempesta di sensazioni, una sorta psicosi traumatica per quello che hai visto.
Quella sensazione può essere ricreata per un pubblico di un’opera di danza?
Non lo so. Lo spero”.
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