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Le città visibili di Nicolas Ruel.
“Cos’ è oggi la città, per noi?” Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città. Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana, e Le città invisibili, sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili”.
Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi.
Le città descritte da Marco Polo al Kublai Khan ne “Le città invisibili” di Italo Calvino sono il simbolo della complessità e del disordine della realtà, e le parole dell’esploratore appaiono come il tentativo di dare un ordine a al caos del reale. Ciò che Calvino vuole mostrare, è “L’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme” e i due modi per non soffrirne: “Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Saudade. Lisbon, Portugal, 2013
Dal 2007, il fotografo canadese Nicolas Ruel, ha perfezionato una fotocamera con doppia tecnica di esposizione che sovrappone un secondo piano a un soggetto principale. Ruel ha chiamato questo processo “8 second” perché questo è il tempo di esposizione che ha scelto per catturare gli spazi urbani delle principali città del mondo.
In questi 8 secondi muovendo la macchina da un soggetto a un altro, Ruel crea una dinamica onirica, una sovrapposizione di immagini che si sovrappongono allo scatto iniziale.
Scrive Ruel:
“Da anni utilizzo tempi di esposizione molto lunghi, che funzionano come set cinematografici, condensando in ogni foto una sorta di micro-film di 8 secondi. Ciò mi consente di assemblare più momenti in un singolo scatto, un processo di condensazione analogo a quello dei sogni.
Sono affascinato dai luoghi fluidi, transitori – luoghi che nella loro natura e funzione incarnano il movimento e la metamorfosi, come i porti, i terminal, le banchine, le strade, i cantieri, le chiese e gli stadi.
Ogni spazio urbano, dal villaggio alla megalopoli, mi fornisce i materiali grezzi per la trasfigurazione. Ho un approccio formale che si basa sul creare il disegno dell’architettura delle città. Strutturare e disarticolare questi elementi è il tema centrale del mio lavoro”.
È un lavoro imponente quello del fotografo di Montreal che negli anni ha scattato centinaia di immagini in oltre 60 città e 40 paesi diversi, creando una grammatica particolare: immagini al contempo astratte e definite, eteree e materiche, immagini frantumate e dense, stratificate, che in qualche modo richiamano l’arte combinatoria delle città invisibili di Calvino.
Scrive Calvino, “Le Città invisibili” sono una formalizzazione della realtà:
“Un processo d’astrazione o, meglio, un’estrazione di concretezza da operazioni astratte, come il riconoscere segni distintivi, frantumare tutto ciò che vediamo in elementi minimi, ricomporli in segmenti significativi, scoprire intorno a noi regolarità, differenze, ricorrenze, singolarità, sostituzioni, ridondanze”… per poi ricomporle in un quadro possibile”.
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