
ma l'amor mio non muore
Il limite dello sguardo.
Roma, 26 marzo.
Per Martin Buber il vero dialogo rappresenta la relazione fondamentale, la via d’accesso a questa vita e al sacro. Il dialogo non riguarda solo gli esseri umani, ma include tutto ciò che incontriamo; è negli incontri autentici in questo mondo, siano essi programmati o casuali, che si possono sviluppare e scambiare valori veri e relazioni. Ed è in questi dialoghi che incontriamo ciò che Buber chiamerebbe una “realtà quadridimensionale”. Le parole silenziose sulla pagina fanno parte di questo flusso di significato, la realtà quadridimensionale di questo spazio tra me-e-te. È necessario un dialogo autentico con il mondo e con noi stessi per inventare la pace; per riuscire a trasformare il nostro modo abituale di considerarla.
Le azioni economiche, legali e politiche per prevenire la guerra e proteggere i diritti umani sono fondamentali per qualunque ricerca della pace, ma allo stesso tempo, se non inventiamo nuovi modi di considerare la questione, rimaniamo bloccati nei soliti modelli di potere e di resistenza. Senza una dimensione spirituale di grazia, di umiltà e di attenzione, la ricerca della pace non può raggiungere un vero senso di giustizia per gli altri e per noi stessi. In questa prospettiva la pace, più che essere un’idea statica, è un processo continuo di trasformazione e di cambiamento. Dobbiamo pensare alcune tecniche (techne in greco significa arte, abilità, perizia) per il conseguimento della pace, che ci rendano capaci di vedere meglio e ci ricordino che il mondo ha un’anima, una sua unicità, una sua bellezza. Vale a dire, che ci lascino nuovamente incantare dal mondo, e creare le condizioni per la pace.
Rainer Maria Rilke scrive:
“Perché, vedi, c’è un limite al guardare. E il mondo lungamente misurato dallo sguardo vuol prosperare nell’amore. Opera della vista è compiuta compi ora l’opera del cuore sulle immagini prigioniere in te, perché tu le hai sopraffatte ma non le conosci ancora. Vedi, uomo interiore, la fanciulla in te racchiusa che da mille nature hai conquistata, questa finora soltanto conquistata, mai ancora amata creatura”.

Roma, 29 marzo.
Discorso conclusivo tratto da “The Great Dictator”, Charlie Chaplin, 1940.
Scusate, ma non voglio fare l’Imperatore. Non è il mio mestiere. Non voglio governare o conquistare nessuno. Mi piacerebbe aiutare tutti, se fosse possibile: gli ebrei, i gentili, i negri, i bianchi. Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci l’un l’altro. Al mondo c’è posto per tutti. E la buona terra è ricca e in grado di provvedere a tutti. La vita può essere libera e bella, ma noi abbiamo smarrito la strada: la cupidigia ha avvelenato l’animo degli uomini, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell’oca, verso l’infelicità e lo spargimento di sangue. Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi dentro. Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciato nel bisogno. La nostra sapienza ci ha resi cinici; l’intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d’intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto. L’aereo e la radio ci hanno avvicinati. È l’intima natura di queste cose a invocare la bontà nell’uomo, a invocare la fratellanza universale, l’unità di tutti noi. Anche ora la mia voce raggiunge milioni di persone in ogni parte del mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che costringe l’uomo a torturare e imprigionare gli innocenti. A quanti possono udirmi io dico: non disperate. L’infelicità che ci ha colpito non è che un effetto dell’ingordigia umana: l’amarezza di coloro che temono la via del progresso umano. L’odio degli uomini passerà, i dittatori moriranno e il potere che hanno strappato al mondo ritornerà al popolo. E finché gli uomini saranno mortali la libertà non morirà mai. Soldati! Non consegnatevi a questi bruti che vi disprezzano, che vi riducono in schiavitù, che irreggimentano la vostra vita, vi dicono quello che dovete fare, quello che dovete pensare e sentire! Che vi istruiscono, vi tengono a dieta, vi trattano come bestie e si servono di voi come carne da cannone. Non datevi a questi uomini inumani: uomini-macchine con una macchina al posto del cervello e una macchina al posto del cuore. Voi non siete delle macchine! Siete degli uomini! Con il cuore in amore per l’umanità. Non odiate! Solo chi non è amato odia! Chi non è amato e chi ha rinnegato la sua condizione umana! Soldati! Non combattete per la schiavitù! Battetevi per la libertà. Nel diciassettesimo capitolo di San Luca sta scritto che il regno di Dio è nell’uomo, non in un uomo o in un gruppo di uomini ma in tutti gli uomini! In voi! Voi, il popolo, avete il potere di rendere questa vita libera e bella, di rendere questa vita una magnifica avventura. E allora, in nome della democrazia, usiamo questo potere, uniamoci tutti. Battiamoci per un mondo nuovo, un mondo buono che dia agli uomini la possibilità di lavorare, che dia alla gioventù un futuro e alla vecchiaia una sicurezza. Promettendo queste cose i bruti sono saliti al potere. Ma essi mentono! Non mantengono quella promessa. Né lo faranno mai! I dittatori liberano se stessi ma riducono il popolo in schiavitù. Battiamoci per liberare il mondo, per abbattere le barriere nazionali, per eliminare l’ingordigia, l’odio e l’intolleranza. Battiamoci per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso conducano alla felicità di tutti. Soldati, uniamoci in nome della democrazia!
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