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Extrastatecraft: The Power of Space Infrastructure, Keller Easterling.

Nel famoso racconto “La morte di Justina” scritto da John Cheever nel 1960, il narratore si trova in una situazione difficile. La cugina di sua moglie è morta sul loro divano, e quando cerca di organizzare il funerale, scopre che nella parte della città in cui abita, il piano di zonizzazione non prevede cimiteri e paradossalmente neppure la possibilità di morire:

“Da quel che ho capito non solo non si può più aprire un’agenzia funebre nella Zona B, ma non ci si può nemmeno seppellire nulla, insomma non ci si può neanche morire. È chiaro, tutto ciò è assurdo, ma tutti facciamo degli errori, o mi sbaglio? Ci sono due cose che puoi fare. Mi è già capitato di avere a che fare con una situazione simile. Puoi prendere la signora, caricarla in macchina e portarla fino a Chestnut Street, dove inizia la Zona C. Il confine è proprio dopo il semaforo accanto alla scuola. Quando sei arrivato in Zona C è tutto a posto, basta dichiarare che è deceduta in auto. Questa è la prima possibilità, ma se la trovi disgustosa puoi chiamare il sindaco e chiedere una deroga alle norme sulla zonizzazione. Io di sicuro non posso compilare un certificato di morte finché si trova nel tuo quartiere e di certo nessun impresario di pompe funebri la toccherà fino a quando non avrai un certificato di morte”.

Nel nostro mondo auto-costruito è difficile valutare l’importanza che i protocolli hanno su di noi, ed è ancora più difficile individuare a chi rivolgere le nostre lamentele quando qualcosa non va per il verso giusto. Il commercio locale si è trasformato nella società in rete, le conversazioni sono diventate comunicazioni di massa e le abitudini della comunità sono ormai costantemente controllate e convertite in astratte norme internazionali. Le proteste vengono reindirizzate a un call center automatico, e a differenza della burocrazia comunale descritta nella storia di Cheever, il sistema che ci governa oggi non è più lo Stato-nazione, ma è formato da una molteplicità di infrastrutture disperse e non gestite da esseri umani. Infrastrutture anonime che non accettano domande.

Extrastatecraft

Extrastatecraft: The Power of Space Infrastructure” (Verso, 2014), scritto da Keller Easterling – Associate Professor alla Yale University School of Architecture – è un vero e proprio manuale di navigazione per il terzo millennio.  “Extrastatecraft” fa seguito al magnifico e pluripremiato “Enduring Innocence” pubblicato nel 2005 da Mit Press, e si inserisce a pieno titolo una nuova tradizione di testi in cui le riflessioni sull’architettura si intrecciano con quelle sull’economia, sulla strategia militare, sull’evoluzione tecnologica e le narrazioni politiche. Una tradizione piuttosto recente che include autori come: Reinhold Martin, Felicity Scott, Eyal Weizman, e soprattutto la Aggregate Collaborative (un innovativo progetto di collaborazione tra tredici storici americani che interpretano l’architettura da prospettive multidisciplinari). Nel testo della Easterling il lettore è testimone di una imponente descrizione di luoghi, organizzazioni e di tempi: l’attrito etico delle ZES (definite, zone ad economia speciale o zone di libero scambio o Foreign Trade Zone o Export Processing Zone) in tutto il mondo, i risultati imprevisti dello sviluppo di Internet ad alta velocità in Africa e i comportamenti insidiosi della International Organization for Standardization (ISO) – la compagnia privata che produce protocolli di qualità adottati da aziende in 162 paesi nel mondo.
Molte delle idee chiave presenti in “Extrastatecraft”, la Easterling ha iniziato ad elaborarle in “Enduring Innocence”: un mondo sempre più popolato da infrastrutture, definite da “regole” o “formule ripetibili” che con i loro protocolli governano lo spazio della vita di ogni giorno; l’urbanistica, diventata una funzione organizzativa (che lei definisce “di disposizione”) dello spazio sociale ed economico; la relativa efficacia dei metodi di analisi tradizionali dell’architettura come strumenti per indagare le narrazioni, lo sviluppo e la storia delle infrastrutture. Leggendo in rete le recensioni (chi avesse voglia di leggerle ho inserito alcuni link a fine pagina), ho notato che i commentatori hanno lodato il testo per aver cercato di superare l’idea dell’architettura come una disciplina focalizzata esclusivamente sul design, per cercare d’individuare concetti, più sociali, più politici, in definitiva, più rilevati per tutti. Lo storico, urbanista londinese Leo Hollis – autore di “City Are Good for You. The Genius of the Metropolis“, scrive che Extrastatecraft è un libro pensato per convincere, e riesce pienamente nel suo intento.
La Easterling sintetizza in questo modo il significato di extrastatecraft:

“A portmanteau meaning both outside of and in addition to statecraft, extrastatecraft acknowledges that multiple forces — state, non-state, military, market, non-market — have now attained the considerable power and administrative authority necessary to undertake the building of infrastructure”.

Extrastatecraft può essere definito come un sistema di infrastrutture artificiali, sia fisiche che invisibili, di strutture materiali unite a informazioni che producono “forme non dichiarate di politica”,  veloci, amorfe, poco definibili e soprattutto, facilmente legiferabili. Modelli simili, sono stati studiati in passato – ad esempio ciò che Daniel Heller-Roazen ha definito il “paradigma della pirateria” -, ma la Easterling fa qualcosa di nuovo e interessante, struttura il suo libro come un kit di strumenti pensato per gli attivisti. L’idea è che la tradizionale resistenza binaria (Davide contro Golia) è impotente, per non dire totalmente irrilevante di fronte allo spazio disegnato dalle infrastrutture. La sua presunzione è che se impariamo a conoscere il nuovo nemico, se ne studiamo i movimenti, possiamo imparare a costruirci strumenti per alleviare la nostra oppressione, se non per sconfiggerlo. La Easterling ci fa notare, che il “nemico” non è mai una cosa, ma è ciò che produce una serie di azioni tra le cose (un po’ come se noi commettessimo l’errore di identificare il capitalismo con una singola azienda e non con la complessa matrice di forze globali che costituiscono “Wall Street”).
Scommetto che per la maggior degli architetti tutto ciò suonerà come una delusione. Ahimè, gli edifici da soli non possono cambiare il mondo, ma la buona notizia è che oggi i sistemi con cui costruirli possono essere riprogrammati in modo tale da generare nuovi modelli abitativi e sociali. Infatti, il libro può essere letto come un monito al mondo accademico, al modo in cui l’architettura è ancora insegnata e praticata.
Quindi la domanda è: può l’architettura “inventare” dispositivi per fornire una risposta agli abusi del mondo contemporaneo, oppure vuole continuare a considerarsi una creatrice di forme costruite più o meno sofisticate?
Nel libro, una metafora utilizzata per spiegare il funzionamento del mondo contemporaneo è quella del software. Per l’autrice, le proteste di strada come forme di resistenza all’ingiustizia sono inefficaci perché è come se ci limitassimo a gridare computer in caso di suo malfunzionamento. La Easterling ha individuato una serie di “forme attive” che operano nello spazio delle infrastrutture. Il “conoscere cosa”, nel corso del tempo ci porterà a “sapere come”. Dobbiamo diventare “programmatori dei fenomeni spaziali”, imparare a progettare il “software dell’architettura”, dobbiamo pensare il design come parte dell'”internet of things“,  ovvero come a un processo di manipolazione dei codici di costruzione.

Un esempio, tra i molti presenti nel libro e dato dallo Studio di architettura Skidmore, Owings e Merrill. Mentre lo Studio lavorava sul complesso Esentai Tower (2008) a Almaty in Kazakhstan, ha dovuto aggiornare gli antiquati codici di costruzione sovietica della città per farli corrispondere agli attuali standard internazionali. Questi codici, rivisti e tradotti per la prima volta in inglese, sono stati poi utilizzati per tutti i grandi progetti successivi realizzati in Russia. Intervenire nel design dell’intero processo può essere una prospettiva davvero allettante. Spesso la nostra incapacità nel risolvere problemi –  coeva con la nostra fede profonda nella democrazia rappresentativa, nel capitalismo e nel libero scambio – è dovuta in parte al fatto che quando ci troviamo a guidare la macchina da soli siamo dei principianti. Ma come scrive in un bel libro, “Dark matter and trojan horses. A strategic design vocabulary” Dan Hill, la “materia oscura” può essere addomesticata.
Con qualche debito “all’arte dei deboli” studiata dal teorico gesuita Michel de Certeau ne “L’invenzione del quotidiano” , la Easterling elenca una serie di tecniche “ausiliarie non ortodosse”, che possono aiutare architetti e non a ridisegnare, a ridefinire, lo spazio delle infrastrutture: “pettegolezzi, dicerie, doni, accondiscendenza, mimetismo, commedia, controllo remoto, assenza di significato, diversivi, disinformazione, distrazione, pirateria o imprenditorialità”. Strumenti con cui influenzare le storie, le disposizioni, gli spazi delle infrastrutture. Se non è possibile cambiare il risultato, dobbiamo provare a cambiare le modalità conversazione. Si tratta di un metodo preventivo, non curativo (la medicina cinese, piuttosto che la medicina occidentale), un metodo che non produce risultati rapidi, immediati e verificabili, ma che forse potrebbe far uscire l’architettura dal ciclo infinito di incomprensioni ed errori di cui è diventata prigioniera.
Un percorso interessante, non privo di incognite: conoscere lo spazio in cui operano le infrastrutture ci da la possibilità di incidere sui problemi, ma la conoscenza del sistema in qualche modo, ci rende anche complici del suo operato.
La Easterling, racconta la storia di Jana (Jana significa popolo in sanscrito), una piattaforma di crowd-sourcing testata in Kenya. Grazie ad una partnership con fornitori di servizi (tra i quali Unilever, Wrangler, Danone…), Jana offre agli utenti tempo di connessione gratuito in cambio di dati raccolti attraverso indagini e questionari. Gli utenti del cellulare si trasformano in  forza lavoro che ha un costo vicino allo zero – le persone continuano a fornire informazioni e dati personali ad una macchina per continuare ad avere accesso alla macchina.
Ciò che rende “Extrastatecraft” e “Enduring Innocence”, così rilevanti per i non architetti è che in entrambi l’autrice si focalizza sul sistema (lo spazio delle infrastrutture) piuttosto che sui sintomi (l’architettura), in questo modo una vasta gamma di manufatti culturali potrebbero essere inquadrati nella sua analisi. Una zona economica speciale è extrastatecraft. Il potere non regolamentato del mercato dell’arte è extrastatecraft. E se pensassimo al sistema climatico come extrastatecraft?  Oppure, cosa potremmo imparare se ripensassimo alle razze umane come a uno spazio di infrastrutture?  Ancora, il movimento dell’accelerazionismo, – un tema di filosofia politica posto recentemente da Nick LandNick Srnicek e Alex William che vede nell’accelerazione esasperata dei processi del capitalismo un modo per superare il capitalismo stesso – non potrebbe utilizzare l’idea di “complicità esagerata” della Easterling come un modo per far uscire dal pantano le teorie marxiste? E ancora, se il movimento post-Internet art, invece di  associare l’intero progetto teorico-estetico a una singola tecnologia (in prevalenza web based), impiegasse la nozione di spazio infrastrutturale come cornice contestuale per creare una molteplicità di reti a più livelli?
Non c’è dubbio che, nel momento in cui il libro finirà sulle scrivanie dei studenti e architetti, molti si chiederanno: questa è architettura?
Parlo per esperienza personale, gli architetti sono sempre stati megalomani e ambiziosi oltre misura: hanno sognato città in movimento e torri scagliate alla conquista del cielo, ma spesso alle loro visioni non è stata data grande importanza.

Molte delle tecniche descritte nel libro sono già state intuite da alcuni Studi di progettazione particolarmente sensibili e innovativi, come Lacaton Vassal e Bjarke Ingels Group (BIG), ma purtroppo gran parte dell’architettura professionale rimane un’industria “boutique”, e i progettisti di edifici diventano irrilevanti quando si tratta di elaborare piani su grande scala. Di fronte ai problemi sistemici del mondo: la carenza di alloggi, l’abuso dei lavoratori e la distruzione ambientale irreversibile, importanti architetti si sono chiusi nel loro oscurantismo teorico (Eisenman), hanno rivendicato  impunità (Hadid), o hanno letteralmente aggredito coloro che hanno messo in dubbio perché fanno quello che fanno (Gehry). Gli architetti vogliono costruire, organizzare, e migliorare il mondo costruito, ma per migliorare la situazione, i problemi del contemporaneo devono essere identificati e studiati. Extrastatecraft – nel riconoscere che lo spazio che occupiamo oggi opera in base a regole radicalmente diverse da quelle che esistevano fino a qualche decennio fa, quando Cheever ha scritto la storia con cui ho aperto questo post – può essere uno straordinario manuale per una nuova generazione di architetti, i cui progetti possono cominciare ad allinearsi con nuovi e più radicali obiettivi.

Ho trascritto il passo tratto da: “La morte di Justina” di John Cheever https://www.facebook.com/notes/mario-flavio-benini/la-morte-di-justina-di-john-cheever/10152511821201626?pnref=lhc

Su Extrastatecraft.
Extrastatecraft: The Power of Infrastructure Space by Keller Easterling,
Urban Slot Machine: A conversation with Keller Easterling http://archinect.com/features/article/41816/urban-slot-machine-a-conversation-with-keller-easterling
Extrastatecraft web site http://extrastatecraft.net/Projects
Extrastatecraft, Public Lecture Series titled “Experiments in Architecture”, MIT 2014 (video 1:30′) http://youtu.be/03xqKvwcAF4

Sulle ZES (zone ad economia speciale).
Zone: The Spatial Softwares of Extrastatecraft, Keller Easterling, 2012 https://placesjournal.org/article/zone-the-spatial-softwares-of-extrastatecraft/

Sull’internet delle cose:
An Internet of Things, Keller Easterling, 2012 http://www.e-flux.com/journal/an-internet-of-things/

Sul significato di “dark matter” (materia oscura):
Dark Matter and Trojan Horses: A Strategic Design Vocabulary, Dan Hill (Direttore di Fabrica) http://www.amazon.it/Dark-Matter-Trojan-Horses-Vocabulary-ebook/dp/B0085KEVO8

Sul dispositivo:
Che cos’è un dispositivo?, Giorgio Agamben, Nottetempo, 2006 http://www.amazon.it/Che-cos%C3%A8-dispositivo-Giorgio-Agamben/dp/8874520875/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1422902703&sr=1-1&keywords=Che+cos%27%C3%A8+un+dispositivo
Giorgio Agamben: What is an Apparatus? And Other Essays (2006-) [IT, EN, PT] http://monoskop.org/log/?p=7455
Che cos’è un dispositivo?, Gilles Deleuze, Cronopio, 2007 http://www.amazon.it/Che-cos%C3%A8-dispositivo-Gilles-Deleuze/dp/8889446307/ref=sr_1_2?s=books&ie=UTF8&qid=1422902703&sr=1-2&keywords=Che+cos%27%C3%A8+un+dispositivo

Sull’accelerazionismo:
Manifesto per una politica accelerazionista, Alex William e Nick Srnicek, 2013 http://www.euronomade.info/?p=1328
Gli algoritmi del capitale. Accelerazionismo, macchine della conoscenza e autonomia del comune, Matteo Pasquinelli, Ombre Corte, 2014 http://www.amazon.it/algoritmi-capitale-Accelerazionismo-conoscenza-autonomia/dp/8897522823/ref=sr_1_cc_1?s=aps&ie=UTF8&qid=1422902612&sr=1-1-catcorr&keywords=Matteo+pasquinelli
Accellerazionismo http://matteopasquinelli.com/algorithms-of-capital/

Sull’Art Post-internet:
The Image Object Post-Internet, Artie Vierkant http://jstchillin.org/artie/vierkant.html
Catalogo della mostra “Art post-internet”curata da Karen Archey e Robin Peckham per il Centro Ullens per l’Arte Contemporanea di Pechino, 2014 http://post-inter.net/

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